LETTERA APERTA AL PROF. GIORGIO ALLEGRA, PRESIDENTE DELL'ISTAT: COMUNICAZIONE SBAGLIATA CON L'EUROPA


Mi presento: sono Lucio Casalino, ex dirigente dell’Inps, in pensione, prof. a c. dell’ Università di Napoli Federico II  e Consigliere nazionale della Confederazione sindacale CISAL.
Sono titolare del  blog in rete, il cui sito è: www.fakeinps.it
   Attraverso questa pagina web, desidero inviarle una lettera aperta, in relazione al suo recente incarico, disposto dalla Legge di Bilancio, anno 2018, del 27.12.2017 n. 295, a presiedere due importanti Commissioni tecniche, che saranno istituite con successivo DPCM, aventi il compito di studiare, rispettivamente, la prima:La gravosità delle occupazioni, anche in relazione all’età anagrafica e alle condizioni soggettive dei lavoratori”; la seconda: “La classificazione e comparazione, a livello comunitario e internazionale della spesa pubblica nazionale per finalità previdenziali e assistenziali”.
   - Riguardo ai compiti della prima Commissione, è necessario premettere che il criterio cardine su cui si basa il calcolo contributivo della pensione è la durata più o meno lunga dell’aspettativa di vita, certificata dall’Istat ogni tre anni dal 2013 e ogni due anni dal 2019: Cioè l’importo della pensione dipende dalla previsione, espressa in anni, della vita attesa dopo il pensionamento, secondo la regola matematica-attuariale: “Statisticamente più si vive, meno si ha di pensione; meno si vive, più alta sarà la pensione”.
   Però la speranza di vita, formulata dall’Istat in media uguale per tutti i destinatari, a prescindere dalle diverse situazioni in cui si trovano, determina un coefficiente unico, per cui, a parità di montante e di età di pensionamento, i pensionati che hanno una vita attesa più breve, rispetto alla media (più alta), percepiranno ingiustamente una pensione più bassa di quanto dovuto: Un imbroglio che da tempo si sta verificando ai danni  di milioni di pensionati, specialmente quelli più fragili ed esposti e di cui nessuno parla.
   Le principali posizioni in cui possono trovarsi i lavoratori, che influiscono sulla misura della speranza di vita attesa, diffuse dal suo Istituto (vedi il sito ufficiale dell’Istat), sono le seguenti: i diversi luoghi di residenza (nord/sud), il genere (maschile, femminile), la classe  sociale (benestante/ povera), il livello d’istruzione (laureato/non), oltre che le” gravosità delle occupazioni”.
   D’altronde queste differenze previsionali sono state quantificate, come pubblicato in questi giorni dalla Stampa nazionale, anche dall’“Osservatorio nazionale della salute” dell’Università Cattolica, ideato dal prof. Walter Ricciardi: Al Sud (Campania) gli uomini vivono mediamente 78,9 anni, le donne 83,3; al Nord (Trento) gli uomini, 81,6; le donne, 86,3 anni.  Anche il livello d’istruzione determina differenza di sopravvivenza: Un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello d’istruzione basso ovvero 82 anni, se possiede almeno una laurea.
   Dai dati suesposti risulta, per esempio, che un lavoratore di genere maschile del Sud (78,9 anni residui), ha una previsione di vita minore di ben 7 anni e 4 mesi (per cui dovrebbe percepire una pensione più alta), rispetto a una lavoratrice del Nord (86,3 anni), a parità di montante contributivo.
   Fatta questa doverosa premessa, Presidente, lei si rende perfettamente conto che la previsione legislativa affidata alla Commissione da lei presieduta, limitata alla sola gravosità delle occupazioni, renderà parziale e non esaustiva l’eventuale soluzione del problema.
   Nel post n. 4 pubblicato nel blog, ho esemplificato che la differenza di vita attesa di un solo anno, in più o meno rispetto alla media, su un montante di 300.000 euro, determina una differenza di 1.000 euro tra le due diverse categorie di lavoratori (residenti nord/sud; laureati o meno; uomini o donne, lavori più o meno gravosi).
   Se questo è vero, com’è vero, anche l’aumento periodico, uguale per tutti, dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva per la pensione anticipata (nel 2019, di cinque mesi), dovrebbe risentire della predetta differenziazione, per cui non può essere generalizzato (come avviene attualmente), ma flessibile e graduale, in ragione delle diverse posizioni in cui si trovano i lavoratori.
   Stiamo denunciando da tempo che si sta “giocando” sulla pelle e sulla carne viva dei lavoratori e delle loro famiglie e, in seguito, dei superstiti e dei figli, con una pensione più bassa di quanto dovuto.
   E’ necessario che Lei, Presidente, nella sua qualità e nella sua nuova veste istituzionale, si faccia carico di chiedere l’estensione dello studio della Commissione a tutte le categorie di vita che potrebbero avere un riflesso, secondo l’Istat, sulla durata dell’attesa di vita e sull’incremento dei requisiti pensionistici.
   Mi rendo conto che in questo modo si produrrebbero pensioni non solo d’annata, ma anche con importi diversificati nei confronti di pensionati con uguali requisiti: Ma tant’è, questa è la normativa messa in campo dalla Politica.                                                   
  Forse sarebbe opportuno convenire, allora, che l’erogazione parcellizzata d’importi pensionistici è figlia di un metodo di calcolo, quello contributivo, di natura assicurativa – privatistica (in cui c’è il controllo preventivo e personale per il calcolo di sopravvivenza), ingiusto, iniquo e penalizzante per i lavoratori, perché mal si adatta a un Sistema pensionistico pubblico, e sostenerne la sostituzione con quello retributivo, con l’unica eventuale modifica della retribuzione pensionabile determinata in base agli stipendi percepiti durante l’intera vita lavorativa.
  - Per le funzioni della seconda Commissione, prima di parlare degli attuali criteri di classificazione della spesa pubblica che risultano disomogenei tra gli Stati dell’Unione Europea, è necessario evidenziare le cifre sbagliate (direi, sballate) sul  costo delle pensioni previdenziali in Italia, che supererebbe il 18% del PIL, comunicate all’Unione Europea: Nel 3° Rapporto, redatto dal Comitato Tecnico - Scientifico di “Itinerari Previdenziali”, è scritto testualmente, a pag. 98, che L’Istituto, che lei presiede,: “Nell’anno 2011, ha addirittura comunicato a EUROSTAT che la spesa per I.V.S. (pensioni d’invalidità, vecchiaia e superstiti) è stata pari al 19% sul PIL”.
   Percentuale che tradotta in euro (un punto percentuale del PIL è pari a €. 16,42 miliardi), significa aver speso per le pensioni, in quell’anno, circa  312 miliardi di euro?!.
   Presidente, una cosa assurda, mi creda, che non sta “né in cielo né in terra”, a meno che le prestazioni pensionistiche “pure” (a carico dei lavoratori)  non siano  state erroneamente e colpevolmente  mischiate con quelle assistenziali (finanziate dalla Collettività)!
   Nel 2011, la spesa delle pensioni è stata, invece, di €. 143,1 miliardi (tab.1. a, Rapporto n.4, pag. 142), al netto delle prestazioni assistenziali e delle tasse.
   Poiché non mi risulta che ci sia stata richiesta di smentita, devo ritenere che queste cifre siano state realmente trasmesse e indicano in modo palese l’errata ed equivoca comunicazione intrattenuta con gli Organismi Comunitari, che tanti danni sta procurando a milioni di pensionati.
   Immagino (e anche giustifico) l’irritazione della Commissione Europea che, di fronte a  queste esorbitanti cifre, minaccia procedure d’infrazione e immediati  interventi correttivi e restrittivi del Sistema delle pensioni in Italia.
   Presidente, proprio  nel 2011, c’è stata una Riforma previdenziale esagerata, avendo rinviato senza alcuna flessibilità di 7 anni il traguardo della pensione (da 35 anni di contributi  a 42 anni per la pensione anticipata), lasciando nella tragedia tanti lavoratori che si sono visti, in una nottata tra il 31 dicembre e il primo gennaio del 2012,  sfuggire il meritato e agognato collocamento a riposo!
   Invece, Presidente, contrariamente ai dati da lei trasmessi in Europa, Il Bilancio INPS opportunamente riclassificato in base alla natura previdenziale delle pensioni, cioè quelle collegate ai contributi versati dai lavoratori, è risultato con avanzo positivo, anche negli anni precedenti e successivi al 2011, com’è dimostrato dalla serie di Rapporti sul Sistema previdenziale approntata dal predetto Comitato (cui ha cooperato anche l’Inps, dal cui Casellario dei pensionati sono stati tratti i relativi dati).
   In particolare, come prototipo, le voglio  segnalare che il Bilancio INPS del 2015 ha presentato addirittura  una plusvalenza di circa 10 miliardi, con un costo delle pensioni pari a €.154, 5 miliardi, al netto delle prestazioni  assistenziali e delle tasse (€. 163 miliardi), e con la percentuale rispetto al PIL del  10%, la più bassa d’Europa.
   Se questi sono i dati, senza tema di smentita, che  può approfondire leggendo il mio precedente quinto post dal titolo ”Fake news sul buco della spesa pensionistica”, appare veramente singolare e incomprensibile la trasmissione di cifre così fuorvianti fornite dall’Istat all’Ente Statistico Europeo che, ripeto, sono state la principale causa dell’allarme europeo sulla sostenibilità nel tempo della Struttura pensionistica in Italia.
   Al contrario, quella che sta esplodendo è la Spesa delle prestazioni assistenziali, le quali sono frutto di mere elargizioni disorganiche, se non elettoralistiche, inserite nel Bilancio dell’INPS, ma che devono essere a esclusivo carico della Fiscalità generale.
   Attualmente, si può affermare che Il Welfare in Italia è finanziato anche con i contributi dei lavoratori le cui risorse, evidentemente, sono sottratte ai trattamenti previdenziali cui sono destinati (aliquota di scopo del 33%), in evidente contrasto  con la Legislazione Nazionale e con i Principi Costituzionali.
   Su 16,1 milioni di pensionati, nientedimeno, oltre il 51% sono titolari di pensioni assistite, mentre meno della metà, rispetto alla totalità dei pensionati, dovrebbe essere posta carico della contribuzione sociale!
   Veda, Presidente, a questo proposito è necessario fare finalmente chiarezza sui criteri in base ai quali stabilire la  natura delle prestazioni (previdenziale o assistenziale) che valgano  per tutta l’Unione Europea, per evitarne  una equivoca commistione, a danno delle persone più deboli della Società, e cioè  dei pensionati
   Attualmente, mi domando come può essere omogenea la metodologia prevista dal Sistema Europeo delle Statistiche integrate della Protezione Sociale (S.E.S.PRO.S.), predisposta da EUROSTAT, con la collaborazione degli Stati membri (Regolamento Comunitario 458/2007), se, per esempio, in Italia, nel costo delle pensioni sono comprese le tasse pagate dai beneficiari, mentre in Germania e in altri Paesi, le pensioni non sono soggette ad alcun tributo (ovvero, in minima parte)? Com’è possibile approntare una credibile media europea della spesa in rapporto al PIL, se alcune prestazioni chiaramente assistenziali, quali i Prepensionamenti, le Maggiorazioni, le Integrazioni al minimo, gli Assegni Familiari e via dicendo, vengono considerate in Italia di natura previdenziale, mentre nella maggior parte degli Stati Europei, giustamente, di sostegno al reddito?
   A mio avviso, sarebbe necessaria una sua autorevole richiesta alla Politica  che  i lavori della Commissione avente per oggetto la comparazione della spesa pubblica in ambito comunitario, fossero  preceduti  da una proposta di accordo rivolta all’U.E. per la modifica dell’attuale Regolamento comunitario,  con norme più stringenti e aderenti alla realtà dei singoli Stati,   provvedendo a sterilizzare gli eventuali tributi/oneri pagati da alcuni Stati sulle pensioni e a individuare una comune e paritaria base di spesa, al fine di  qualificare e separare in modo netto il costo delle pensioni, collegate esclusivamente alla contribuzione dei lavoratori da quello delle prestazioni assistenziali, in cui si verifica, in qualche modo, l’intervento di protezione sociale dello Stato.
   Solo in questo modo, le decisioni dell’istituenda Commissione avrebbero un senso, al fine di accertare in via  definitiva l’effettiva media reale, a livello comunitario, della spesa pensionistica in Italia, rispetto agli altri Paesi Europei.
   Concludo ribadendo, con forza, che In Italia nel 2015 (come negli altri anni) la reale spesa delle sole  pensioni d’invalidità /inabilità, vecchiaia/anticipata e ai superstiti (10% del PIL), rispetto a quella tedesca (12% del PIL), è sicuramente la meno cara d’Europa.
   Alla Politica un pressante invito: giù le mani dalle pensioni, per cortesia!

 Se ha necessità di contattarmi, sa come trovarmi.
La saluto cordialmente.

          Prof. a c. Lucio Casalino                                                                Napoli, 10 marzo 2018

 

 

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