T I T O L O

- LA CORTE DEI CONTI: MANCATA TRASPARENZA DEL BILANCIO INPS 2018.
- IL METODO CONTRIBUTIVO: “IL POLLO" DI TRILUSSA,  I “DANNI COLLATERALI” E LA PROPOSTA DELLA SUA CANCELLAZIONE.
- IL METODO RETRIBUTIVO: RICONOSCIUTO DALLA CORTE COSTITUZIONALE.
-LA SPESA DELLE PENSIONI ASSISTENZIALI: "UNA LEGGENDA METROPOLITANA". 
-LA SPESA DELLE PENSIONI IVS: “THE TRUMAN SHOW” E LA FIABA “IL RE É NUDO”.

PREMESSA 
UN'ANOMALIA STRUTTURALE DEL BILANCIO INPS 

      In esordio, è necessario subito segnalare la notizia che la Corte dei Conti, nell’ultima Relazione di controllo, ha riscontrato un’anomalia "strutturale" nel Bilancio Inps, arrivando a proporre l’opportunità di interventi normativi, di cui nessun Organo d’ informazione/mass media ha parlato o scritto, tranne noi, con questo articolo sul Blog

    Siamo perfettamente d’accordo con la Relazione dell’Organo di controllo, nella parte in cui considera il Bilancio Inps, com'è strutturato attualmente, composto da una complessa promiscuità di spese di natura pensionistica IVS e assistenziale, per cui ha ragione il Relatore quando scrive come non sia assolutamente “agevole distinguere le une dalle altre"; argomento di cui parleremo dettagliatamente al Cap.10.

     Purtroppo, ciò che rileva la Corte dei Conti, comporta una gravissima conseguenza di carattere economico per i lavoratori-pensionandi, perché, aumentando virtualmente e ingiustificatamente  la spesa pensionistica IVS (conseguentemente, anche la percentuale del PIL), si determina l'apparente  giustificazione da parte dello Stato di dover ricorrere a Riforme peggiorative (Dini, Monti - Fornero e ai tagli alle pensioni, ipotizzati anche dall'ultima  Relazione annuale del Presidente Inps), al fine di far diminuire, per compensazione, l’importo delle pensioni da erogare.

    È una battaglia che stiamo conducendo da anni, in beata solitudine; è una vera e propria trappola per i lavoratori, di cui nessuno parla, fondata su una fake news sulle pensioni dell'Inps, cioè come il titolo di questo Blog, è un’autentica FAKEINPS.

CAP. 1°
I DUE SISTEMI DI PROTEZIONE SOCIALE PREVISTI DALLA COSTITUZIONE: PREVIDENZA E ASSISTENZA  

       La Costituzione sancisce la precettività dell'art.38, nella parte in cui descrive la struttura della protezione sociale, operante immediatamente nell'Ordinamento giuridico, distinguendo nettamente il sistema della previdenza sociale (comma 2), da quello dell'assistenza sociale (comma1).

   Essi rappresentano due diverse fattispecie tipiche e distinte, anzi, opposte, per soggetti interessati, natura, funzione e modalità di finanziamento.

     Questo è il motivo per cui diventa non solo giuridicamente, ma anche contabilmente corretto, postarle separatamente nel Rendiconto finanziario dell’Istituto previdenziale.

  I) IL SISTEMA DELLA PREVIDENZA: IN PARTICOLARE DELLE PENSIONI IVS

   In particolare, nell'ambito del sistema di previdenza, quello relativo alle pensioni IVS, che ne rappresentano un sottosistema, è di natura interna  ai lavoratori-pensionandi, ancorché obbligatorio per legge, perché autofinanziato solo da una parte della collettività nazionale – in stragrande maggioranza dai lavoratori dipendenti -  attraverso il prelievo dei contributi del 33% (per i dipendenti) dalla loro retribuzione, al fine di coprire esclusivamente il costo delle pensioni in essere (il contributo datoriale è inteso quale retribuzione differita del lavoratore):

  • La contribuzione previdenziale non rappresenta una imposizione tributaria vera e propria, ma "una tassa di scopo", diretta unicamente a finanziare le pensioni in pagamento. 

    La previdenza pensionistica realizza, quindi, una forma obbligatoria contro i rischi generici e specifici degli stessi lavoratori-pensionandi, quali l'invalidità al lavoro, la vecchiaia, il decesso:  

  • In sintesi, trattasi di un sistema a ripartizione, speculare e strettamente collegato tra la contribuzione versata e le pensioni, in pagamento, d’invalidità al lavoro, vecchiaia/anzianità/anticipata, ai superstiti, supplementari, supplementi e ricostituzioni (identificate con l’acronimo IVS, per cui in seguito: "pensioni IVS"), . 

   Pertanto, i contributi previdenziali assumono una triplice funzione: 

·    Oltre ad essere una risorsa economica per pagare le pensioni IVS in essere, hanno anche quella di essere calcolatati come cifra dei requisiti necessari, previsti dalla legge, per raggiungere il diritto alle pensioni IVS, e come misura dell'importo delle stesse.

II) IL SISTEMA DELLE PRESTAZIONI ASSISTENZIALI

   Invece il Sistema delle prestazioni assistenziali ha natura generale, perché si rivolge a tutti i cittadini che siano inabili al lavoro, minorati fisici e psichici o indigenti, i cui oneri, a carico dello Stato, sono finanziati da tutta la collettività (compresi, ovviamente i lavoratori), attraverso la Fiscalità generale.                 

    Il diritto alla prestazione assistenziale prescinde dalla contribuzione (che peraltro non versano), ma dipende solo dalle condizioni personali, sanitarie e economiche in cui si trova il cittadino beneficiario, bisognoso di essere assistito dallo Stato, quale espressione della solidarietà generale.      

   Insomma, cari lettori, da questa inascoltata esigenza di separazione contabile (siamo convinti che l'autorevolissimo richiamo della Corte dei Conti, tramite il megafono di questo Blog, abbia un seguito in ambito politico), capite bene quanto sia penalizzante ogni contaminazione dell'assistenza nella spesa pensionistica, aumentando il carico contributivo sulle retribuzioni dei lavoratori. 

    Peraltro, ogni norma anche contabile che dovesse violare il principio della separazione tra i due Sistemi, si configurerebbe in contrasto con il dettato costituzionale

      Inoltre, a mio avviso, ciò diventa pregiudiziale ad ogni ulteriore iniziativa di "tavoli" ministeriali per la separazione tra previdenza e assistenza. 

CAP. 2° 
LE PENSIONI IVS GESTITE DALL'INPS E FINANZIATE DAI LAVORATORI

     Innanzitutto registriamo dall’autorevole sito “Itinerari Previdenziali” che, nel 2018:

  La spesa lorda complessiva (di cui i lavoratori si assumono l'onere/obbligo della copertura finanziaria con propri contributi) delle sole pensioni Inps IVS, mutualizzate è stato pari a € 212,1 miliardi, con il Pil al 12,01%:

  • al netto di € 35,8 miliardi per provvedimenti di natura assistenziale, a carico dello Stato, ma finanziati dalla "Gestione degli Interventi Assistenziali" (di seguito: GIAS), istituita presso l'Inps;
  •  al netto di € 9,3 miliardi, finanziati dalla GIAS, per conto dello Stato-datore di lavoro, per le prestazioni erogate ai pubblici dipendenti, in considerazione del saldo negativo tra pensioni e contributi nella Gestione Statale trasferita presso l'Inps (ex Inpdap).
  • al lordo di € 51,5 miliardi, per imposte (IRPEF) pagate dai pensionati.

I) CON L’ESCLUSIONE DELLE PENSIONI/PRESTAZIONI ASSISTENZIALI

  Dalla spesa complessiva dalle pensioni IVS, sono state escluse le seguenti pensioni e prestazioni aventi natura assistenziale:

1.   I pensionamenti anticipati, esodati e varie (€ 2,2 miliardi).

2.  Le pensioni assistenziali, pari a € 22,3 miliardi(Pensioni e Assegni sociali, Pensioni di guerra dirette e indirette, Pensioni d’invalidità civile e Indennità di accompagnamento).

3. Le prestazioni assistenziali pari a € 3 miliardi (quattordicesima mensilità, maggiorazioni sociali varie, importo aggiuntivo)     

II) LE INTEGRAZIONI AL MINIMO DELLE PENSIONI RETRIBUTIVE

   In questa sede giova sottolineare che dovrebbe essere considerate in detrazione, anche la somma complessiva di € 7,8 miliardi, di natura assistenziale, relativa alla:

  • Quota delle integrazioni al minimo (escluse dalla riforma Dini per i lavoratori dal 1.1.1996 !?) a favore delle pensioni solo retributive al disotto della soglia minima (circa 515 euro), il cui importo complessivo è ancora incluso nel complesso della spesa pensionistica, perché tali trattamenti previdenziali sono pagati attualmente dai rispettivi Fondi Inps interessati.

    CAP. 3°        
 IL BILANCIO INPS 2018: ANALISI DELLE USCITE E DELLE ENTRATE   

    In premessa, segnaliamo che i dati pensionistici e contributivi che seguono, sono tratti dal 7° Rapporto del sito “Itinerari Previdenziali,” che ha fatto riferimento al Casellario Previdenziale INPS, a cui ha cooperato anche l’Inps. 

     Dal suddetto Rapporto, abbiamo espunto le Casse privatizzate dei liberi professionisti in modo di focalizzare il nostro lavoro solo sulle pensioni IVS, gestite dall’Inps e sul suo Bilancio.

   I) LA SPESA LORDA DELLE PENSIONI IVS

    Ribadiamo, con dati analitici incontestabili, che nel 2018, l'uscita in Bilancio per pensioni IVS (€ 212,1 miliardi, al lordo dell’Irpef), è così ripartito nell’ambito dei seguenti Fondi: 

  •    122,1 miliardi per i lavoratori dipendenti privati;
  •      61,3 miliardi per dipendenti pubblici (esclusi €.9,3 md erogati dalla GIAS, vedi sopra)    
  •      21,8 miliardi per i lavoratori artigiani e commercianti;
  •        3,8 miliardi per coltivatori diretti, coloni, mezzadri;
  •        0,9 milioni per il Fondo clero;
  •        1,0 miliardo per la Gestione per i lavoratori parasubordinati;
  •        1,2 miliardo per i Fondi integrativi Inps (Gas, Esattoriali, Miniere, Enti disciolti, Consorzio porto di Genova e di Trieste) e Fondi integrativi delle Casse 509 (Enasarco e Enpaia). 

      Giova sottolineare che, anche nel corso degli anni precedenti, il costo delle pensioni IVS, al netto dell'assistenza e al lordo Irpef, ha confermato questo trend di spesa: € 210,9 miliardi nel 2013€ 212,2 miliardi, nel 2014€ 213.7 miliardi nel 2015€ 214,2 miliardi nel 2016€ 216,7 miliardi nel 2017.

 Anche nel 2019, la spesa pensionistica si conferma in linea con questa tendenza, perché ammonta a € 225,2, miliardi, con il PIL del 12,6%, esclusi ovviamente i liberi professionisti (vedi 8° rapporto sul Bilancio Inps, anno 2019, dal sito di "Itinerari previdenziali").

II) LA SPESA NETTA DELLE PENSIONI IVS NEL 2018: L’IRPEF VERSATA DAI PENSIONATI 

 - € 212,1 miliardi, ripetiamo, è la spesa lorda delle pensioni IVS, relativa a tutte le Gestioni Previdenziali. 

- € 160,6 miliardi è la spesa al netto delle tasse pari a € 51,5 miliardi (212,1 md, meno 51,5 md)in quanto l'IRPEF, prelevata alla fonte prima della erogazione delle pensioni, è girata direttamente alle Casse dello Stato, per cui il pensionato percepisce solo il netto - che quindi rappresenta l’effettivo costo pensionistico  mentre lo Stato, incamerandone immediatamente l'importo, “recupera una parte della spesa, tramite le imposte sul reddito", (come suggerito testualmente anche dal Presidente Inps, nella sua ultima Relazione annuale, a pag. 20):

  • É evidente che trattasi semplicemente di una partita contabile di giro, in base alla quale l'IRPEF è da considerare una” non spesa", certamente non pensionistica, per cui diventa scorretto, dal punto di vista contabile, postarla in uscita, incorporata nella spesa delle pensioni IVS.
  • Quest'ultima, anzi, aumentata, in questo modo surrettiziamente, provocherà l'effetto perverso della sua ulteriore copertura con altre risorse contributive, da parte dei lavoratori-finanziatori! 

   Assurdo. Insopportabile, cari lettori. Al danno anche la beffa. Si pensi che in Germania, il tributo sulle pensioni rappresenta una percentuale irrisoria, pari a 0,2%: Per il pensionato tedesco la spesa pensionistica praticamente non subisce il peso del carico fiscale, al contrario di ciò che deve sopportare il pensionato italiano, a causa di una operazione contabile scorretta (?), operata dal Bilancio Inps. 

III) Il PIL, relativo al costo netto delle pensioni IVS (circa 17,6 miliardi per ogni punto percentuale, nel 2018), è pari al 9,1%, al di sotto di oltre due punti percentuali, rispetto alla media europea e pari addirittura a quella giapponese!    

     Una considerazione sulle tasse. Nei programmi di tutti i partiti e, non ultimo dello stesso Governo “Draghi”, è inserita la programmazione del taglio dell'Irpef:

· Pensate cari lettori, la diminuzione del carico fiscale, impropriamente ma fortunatamente, comporterà, di conseguenza, anche la riduzione della spesa pensionistica! Assurdo, ma vero!

     Però, una domanda, per onestà intellettuale, al Presidente Inps: 

  • Cosa c'entra il fisco con le pensioni?! Perché Presidente, non inizia a dare subito disposizioni interne ai suoi Uffici contabili per separare almeno, tra le poste in uscita del Bilancio, la spesa fiscale da quella delle pensioni IVS? Ciò favorirebbe l'avvio di un percorso di trasparenza, come da Lei auspicato nell'ultima Relazione.

IV) LE ENTRATE CONTRIBUTIVE VERSATE DAI LAVORATORI PER IL SISTEMA PENSIONISTICO

   Le entrate contributive (comprensive dei trasferimenti per coperture figurative, sgravi e agevolazioni contributive), versate dai lavoratori per le pensioni IVS, prelevate dal loro salario, nel 2018, ammontano a € 196,3 miliardi: 

  •       126,6 miliardi dai lavoratori dipendenti privati;
  •          40,1 miliardi, dai dipendenti pubblici (esclusi € 10,8 md. per contributi anticipati dalla GIAS, per conto dello Stato);
  •          18,8 miliardi dagli artigiani e commercianti;
  •            1,3 miliardo dai coltivatori diretti, coloni e mezzadri;
  •            0,3 milioni dal clero;
  •            8,0 miliardi dai lavoratori parasubordinati;
  •            1,2 miliardo dai Fondi integrativi;

V) RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA: PIENA SOSTENIBILITA' DEL SISTEMA PENSIONISTICO IVS  

  Il Bilancio INPS presenterebbe, così, un saldo attivo tra contributi e pensioni IVS, al netto delle tasse, di ben € 35,7 miliardi (€ 196,3 miliardiin entrata – € 160,6 miliardi, in uscita). 

  •  Una provocazione: non sarebbe il caso di abbassare addirittura l’aliquota contributiva (tasso del 33% per i lavoratori dipendenti, il più alto nell'intera Ocse, la cui media si attesta intorno al 18,4%), per aumentare il salario, concorrendo a diminuire, in tal modo, il cuneo fiscale a favore dei lavoratori.

VI) LA GESTIONE DEI PUBBLICI (EX INPDAP): IL "BUCO" DI €.10,4 MILIARDI 

  Nel 2018, il saldo negativo della Gestione dei dipendenti pubblici ammonta a € 10,4 miliardi, pur escludendo: 

  •  € 10,8 miliardi, in entrata, per il contributo aggiuntivo (vedi paragrafo IV) a carico del datore di lavoro - Stato; 
  •  € 9,3 miliardi, in uscita, per prestazioni coperte dalla GIAS (vedi paragrafo I). 

    Tale disavanzo, ancora una volta, deve essere coperto impropriamente con il sacrificio dei lavoratori privati (con ulteriori contributi) e/o dei pensionati (con la diminuzione delle pensioni):

·   Prof.ssa Fornero, prima di fare un cambiamento strutturale così complesso, sopprimendo nel 2012 l'Inpdap e facendo confluire i suoi cronici conti finanziari all'interno del Bilancio Inps, anche se con contabilità separata, non sarebbe stata buona norma morale oltre che giuridica-contabilepredisporre legislativamente la copertura automatica di questo disavanzo da parte dello Stato-datore di lavoro, di cui Lei era un alto e degno rappresentante?  

   È spiacevole constatare che tutto questo sia stato riformato ancora una volta alle spalle dei lavoratori/pensionati Inps

CAP. 4° 
LE  PRESTAZIONI ASSISTENZIALI GESTITE DALL' INPS, MA FINANZIATE DALLO STATO: "UNA LEGGENDA METROPOLITANA". 

      L'Italia devolve al Welfare, nientedimeno che il 56,08% dell'intera spesa statale: mentre per le prestazioni di natura assistenziale, gestite dall'Inps nel 2018, il costo complessivo ammonta a ben € 105,6 miliardi, (somma interamente garantita dallo Stato, mediante il trasferimento di risorse di pari importo all'Istituto Previdenziale), così ripartito:  

  • € 72,6 miliardi per prestazioni (€ 45,1 md, a carico della GIAS, + 27,5 md, per le pensioni assistite, come dettagliatamente riportato più sopra nel Capitolo 2°), a cui vengono aggiunti altri:
  • € 33 miliardi per oneri non pensionistici (per il mantenimento del salario, a sostegno della famiglia, sgravi, ecc.).

I) BILANCIO INPS COMPLESSIVO DI TUTTE LE PRESTAZIONI (PENSIONISTICHE E ASSISTENZIALI) GESTITE DALL’INPS

  Pertanto, nel Bilancio risulta in uscita, per tutte le prestazioni pensionistiche e assistenziali erogate dall’INPS, la somma complessiva di € 317,7 miliardi, di cui € 212,1 miliardi per pensioni IVS (che è il reale valore lordo delle pensioni vere e proprie) e € 105,6 miliardi per pensioni/prestazioni assistenziali, di competenza della Fiscalità generale).

   Al riguardo alcune considerazioni, per smentire alcune fake news che circolano anche fra gli addetti ai lavori:

  • Sul totale delle prestazioni erogate dall’ Inps (ribadiamo: € 317,7 miliardi), più del 33% (pari a € 105,6 miliardi, di cui sopra) è assistenza statale.
  • Sulle rimanenti prestazioni IVS (€ 212,1 miliardi), lo Stato ci guadagna € 51,5 miliardi (il 25%) per le imposte pagate dai pensionati.
  • Il costo netto delle pensioni, nel 20018, ripetiamo, coperto abbondantemente dai lavoratori, è pari a € 160,6 miliardi (€ 212,1 md. meno € 51.5 md. d'imposte).

   Pertanto sfatiamo una volta per tutte la leggenda metropolitana dei cc.dd esperti “sugli alligatori nelle fogne di New York", secondo la quale lo Stato si indebita per "finanziare le pensioni IVS".

  Cari lettori, lo ribadiamo per l'ennesima volta, a costo di essere criticati per l’eccessiva ripetitività, che le pensioni sono interamente supportate dai lavoratori, anzi con un netto saldo attivo:

  • La verità è che lo Stato gira all'Inps oltre cento miliardi di euro solo per le spese di sua competenza, postate in uscita nel Bilancio, insieme a quelle per pensioni IVS. 

    Da questi dati risulta evidente come sia la spesa assistenziale ad andare fuori controllo, per la quale lo Stato è costretto anche a indebitarsi sui mercati finanziari, smentendo un'altra "leggenda metropolitana", secondo cui “si spenderebbe poco per le prestazioni sociali e molto per le pensioni IVS”: a nostro avviso, l'assistenza dovrebbe essere selettivamente razionalizzata, anche al fine di evitare duplicazioni e/o sovrapposizioni.

II) AGENZIA PER LA SPESA ASSISITENZIALE

Per evitare ciò, la nostra proposta è quella di istituire:

  •  Un' Agenzia centralizzata di anagrafe della spesa assistenziale che consenta di effettuare un mirato monitoraggio tra i diversi Enti erogatori (Enti, Comuni, Regioni, Inps, Stato) e un adeguato sistema di controlli, al fine di poter indirizzare queste risorse a chi ne ha veramente bisogno e non a malfattori, camorristi, mafiosi ed evasori.

   Cari lettori, un dato è certo e sotto gli occhi di noi cittadiniNonostante questa enorme massa di danaro concessa così generosamente, la povertà non è stata eliminata in Italia. Anzi

    In conclusione, il vero problema è il costo elevato degli interventi sociali che permette alla Politica di fare promesse ai cittadini-elettori, condivise dai soliti noti ai quali, per ovvi motivi, non conviene riclassificare e separare la spesa pensionistica da quella assistenziale, a cominciare dal Bilancio Inps, la cui struttura non trasparente è stata attenzionata, addirittura, dalla Corte dei Conti. 

III)  I PENSIONATI ASSISTITI DALLO STATO

   A ulteriore conferma di quanto sopra, cari lettori vi voglio mostrare il dato sconcertante, tratto dagli Archivi Inps, sul numero dei pensionati, e confermato anche dal Presidente dell'Inpsnella sua Relazione (pag.16): 

  • Sono n. 16,035 milioni, il totale dei pensionati attualmente gestiti dall’Inps.
  • Di quest'ultimi, nientedimeno, più della metà (8,2 milioni) sono pensionati assistiti parzialmente o integralmente dallo Stato, che non hanno mai pagato alcun contributo previdenziale, né sono soggetti all’IRPEF, mentre i veri pensionati INPS, rappresentano meno della metà (circa 8 milioni). Peccato che il Presidente si sia "dimenticato" di aggiungere questo piccolo, ma significativo particolare nella sua Relazione! 

     Giù le mani dalle tasche dei Lavoratori. Questo è il grido che lanciamo da questo Blog: non utilizzate nemmeno un euro dal salario dei lavoratori, per finanziare l’assistenza!

CAP. 5°
LA CORTE DEI CONTI: LA RELAZIONE ANNUALE DI CONTROLLO SULL'INPS     

      Come accennato in esordio, la Sezione di Controllo della Corte dei Conti, annualmente redige una relazione di controllo sulla Gestione Finanziaria del Bilancio dell’Inps.  

    In questo capitolo, procediamo ad una analisi più approfondita sulla Relazione di controllo del Bilancio Inps, per l'anno 2018, relatore il Consigliere Antonio Buccarelli, approvata con delibera n. 83/2020.

    È un documento proveniente della massima Autorità di controllo statale, di rilievo costituzionale, di quasi 300 pagine. 

     Il documento, in particolare, rileva inconfutabilmente - come dimostreremo più sotto riportando il testo virgolettato - che i dati contabili, riferiti alla spesa delle pensioni IVS e all’ assistenza, e inseriti, tutti insieme, nel Bilancio Inps, possono essere causa di mancata trasparenza e, conseguentemente, di errori di valutazione.     

I) LA SPESA COMPLESSIVA DELLE PENSIONI IVS ACCERTATA DALLA CORTE DEI CONTI

 In tema di spesa delle pensioni IVS, il Relatore dell'Organo di controllo scrive testualmente a pag. 269, che: 

  • "La spesa per prestazioni pensionistiche (incluse quelle di invalidità civile) é pari a 279,7 miliardi".

   Il Relatore prosegue, aggiungendo, a pag. 270, che

  • "In riferimento alla spesa pensionistica, va rilevato che oltre il 18% è a carico dello Stato - attraverso il finanziamento della GIAS - per un ammontare complessivo di 50,6 miliardi";
  • "Gli oneri a totale copertura delle prestazioni erogate agli invalidi civili, sono pari a 18,2 miliardi".

  Pertanto il totale della spesa pensionistica IVS, accertata dalla Corte dei Conti, si riduce a € 210,9 miliardi (€ 279,7 md, meno € 50,6 md, meno € 18,2 md), con il PIL dell'11,9 %, addirittura lievemente inferiore all'importo indicato da noi e ricavato dagli archivi Inps (€ 212,1 miliardi).

    A questo punto, Consigliere relatore, mi permetta tre considerazioni al riguardo:

1° Perché inserire nel totale della "spesa delle prestazioni pensionistiche” - anche se solo in parentesi - anche “quelle di invalidità civile”, di natura chiaramente assistenziale?

2° Considerata la sottolineatura, nella conclusione della Relazione, della riscontrata complessità strutturale del Bilancio Inps che comporterebbe una evidente difficoltà a "distinguere" la spesa delle pensioni IVS da quella assistenziale, è probabile che questa lieve incertezza nell'individuare alcune cifre sistemate in Bilancio, possa essere stata la causa del suddetto esiguo disallineamento, rispetto a quanto da noi segnalato più sopra.

3° Comunque l'importo indicato nella Relazione (dedotti ovviamente gli oneri a carico dello Stato), sconta un PIL inferiore a quello medio europeo (intorno al 12%):

  • Il che testimonia, autorevolmente, la piena sostenibilità del Sistema Pensionistico in Italia con i soli contributi versati dai lavoratori!

II) CRITICA DELLA CORTE DEI CONTI AL CALCOLO RETRIBUTIVO

    Alla pagina 4 del documento della Corte dei Conti, il Relatore, critica il sistema retributivo, scrivendo testualmente che: 

“In un sistema previdenziale che eroga gran parte delle prestazioni ad elevata componente retributiva …. e il blocco dell’indicizzazione dell’età di uscita dal lavoro alla speranza di vita ….  comportano …. debito esplicito, in quanto la componente retributiva non viene corretta per tener conto della maggiore durata della prestazione.” 

     Il Relatore, in buona sostanza, sostiene che le pensioni retributive “comportano debito" perché il calcolo non tiene conto della diversa durata di vita dei titolari di pensione, in rapporto all’età di pensionamento, che è, invece, collegata al metodo contributivo. 

  - A questo proposito, Consigliere Relatore, mi consenta una semplice riflessione sugli esiti della non sostenibilità del Sistema retributivo:    

· Dai dati autorevoli sopra esposti, risulta, comunque, che  il sistema pensionistico IVS,  pur "ad  elevata componente retributiva", NON "produce debito esplicito”, in quanto la struttura previdenziale si presenta più che sostenibile, mostrando, anzi, un avanzo di gestione, nel 2018, di ben 35,7 miliardi, alla sola legittima condizione che  venga correttamente calcolata, da sola, la spesa delle pensioni  IVS, al netto dell'assistenza e dell'Irpef, come già ampiamente dimostrato.  

  Infine, mi permetta, alcune considerazioni, che seguono, sul Sistema contributivo, così come è applicato dalla legislazione vigente, rispetto alla speranza di vita.

CAP. 6°
IL METODO CONTRIBUTIVO

I) COME SI CALCOLA LA PENSIONE CONTRIBUTIVA 

   Con il metodo contributivo, la pensione non risulta più legata alla retribuzione, ma è vincolata alla contribuzione versata nell'arco dell'intera vita lavorativa e alla diversa durata della speranza di vita tra i pensionati. 

   Nella Tabella (allegata al Decreto del Ministero del Lavoro dell'1.6.2020 e posta alla fine di questo post), sono inseriti due coefficienti (Divisore e Valore) che, contemporaneamente, trasformano i contributi in pensione, per cui, dal 1°gennaio 2021, l'importo della pensione si ottiene:

  • Dividendo il montante contributivo per "il Divisore" (II° colonna, che rappresenta gli anni residui di vita); 
  • oppure, moltiplicandolo per "il Valore" (III° colonna, espresso in una percentuale, ricavata dalla divisione tra 100 e gli anni di vita attesa), relativi all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (I° colonna).

   Pertanto è vero che l'importo (comprensivo del tasso di sconto del 1,5%) è correlato alla speranza di vita media, in rapporto decrescente di vita residua (da 23,892 a15,465 anni), rispetto alla maggiore età in cui si può andare in pensione (da 57 a 71 anni), per cui:

  • Più alta (71 anni) è l'età di pensionamento, maggiore sarà l'importo pensionistico, perché meno saranno gli anni residui da vivere (15,465 anni), in cui viene esaurito il montante versato.
  • Più bassa (57 anni) è l'età di chi richiede la pensione, inferiore sarà l'importo, perché di più sono gli anni di vita attesa (23,892 anni), in cui devono essere distribuite le rate di pensione.
  - ESEMPIO DI CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA PENSIONE, DAL 2021

   In modo dettagliato, con lo stesso montante accumulato di €.100.000, risulta che: 

-Per coloro che vanno in pensione (con quota 100) all' età di 62 anni, la pensione sarà pari a all'importo annuo di € 4.770, derivante dal montante (€ 100.000):

  • Diviso per 20,965, (il "Divisore" di anni residui di vita, in relazione all'età di 62 anni in cui chiede la pensione), ovvero moltiplicato per la conseguente percentuale (il "Valore") del 4,770% (€ 100.000 diviso 20,965 anni, ovvero moltiplicato per 4,770%). 

-Per quelli in pensione (di vecchiaia) a 67 anni, la pensione sarà di €.5.575, prodotta dal montante (€ 100.000):

  • Diviso per 17,938 (il "Divisore" di anni di vita attesa, segnalato a fianco dell'anno di pensionamento, pari a 67 anni), ovvero moltiplicato per la percentuale (il "Valore") del 5,575%. (€ 100.000 diviso per 17,938, ovvero moltiplicato per 5,575%).

- Così via per tutti gli altri in pensione fino all'età di 71 anni, con uguale speranza di vita (15,465 anni) ed importo pensionistico (€ 6.446), come previsto in tabella.

II) IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA PENSIONE, SECONDO LA DISCIPLINA ATTUARIALE DELLA SCIENZA STATISTICA 

     Ma è altrettanto vero, però, che la predetta Tabella (come si può riscontrare in dettaglio) è formata in modo tale che, accanto a ciascuna età di pensionamento (da 57 a 71anni), viene indicata una sola aspettativa di vita (da 23,8 a 15,3 di anni residui), uguale per tutti i lavoratori che vanno in pensione alla medesima età. 

  Questa impostazione mono-numerica, voluta dalla Riforma “Dini”, contraddice nettamente il principio fondante della Scienza statistica, secondo il quale la flessione della mortalità non si distribuisce uniformemente all'interno delle diverse classi sociali.

    Infatti proprio dal sito ufficiale (istat.it), si rileva costantemente una differente  durata di previsione di vita, che dipende da alcune specifiche caratteristiche di cui i lavoratori-pensionandi siano in possesso, quali le categorie (elenco non esaustivo):  

  • della gravosità o meno dell'attività lavorativa;   
  • del genere maschile o femminile (le donne vivono di più);
  • della diversa ubicazione territoriale (al nord si vive di più, rispetto al sud);
  • del livello di istruzione (il laureato vive di più);
  • delle condizioni di salute (le patologie influenzano la durata della vita);
  • di reddito e socio-economiche ecc. ecc. (il povero, il disadattato vivono di meno)

    In parole semplici, cari elettori, nel metodo ufficiale statistico-attuariale del calcolo contributivo, collegato funzionalmente alla prospettiva di vita differenziata tra cittadini, l'importo delle pensioni dovrebbe essere determinato non solo in base all'età di pensionamento e al montante contributivo, ma anche rispetto al diverso decorso del ciclo di vita media (naturalmente, anche per i lavoratori in pensione alla stessa età), secondo l’assioma di probabilità, in base al quale, a parità di requisiti (età e contributi),  chi campa di più riceve una pensione più bassa; viceversa, chi vive di meno, una pensione più alta.

    Invece la Riforma "Dini", come spiegheremo più dettagliatamente in seguito, ha disatteso legislativamente questo strumento scientifico di calcolo statistico della speranza di vita, impostando, invece, la tabella ministeriale con il blocco di un solo dato numerico di anni di vita attesa (il “divisorein corrispondenza di ciascuna età in cui si chiede di andare in pensione.

   Per rendere in modo fruibile a tutti, specialmente a quelli non addetti ai lavori, il meccanismo articolato della suddetta regola, che sta alla base, ripetiamo, della Scienza statistica - in contrapposizione a quella adottata dalla Riforma "Dini" - rappresenteremo, nel corso di questo Capitolo, dedicato al Sistema contributivo:

  • Una serie di esempi "di scuola", con riferimento a due gruppi di lavoratori, aventi prospettive di vita diverse - per differenti variabili socio-economiche/personali, previste dal “sito Istat” -  collocati a riposo alla stessa età e con lo stesso montante contributivo di €. 100.000.
 - ESEMPIO DI CALCOLO DELLA PENSIONE SECONDO LA DISCIPLINA ATTUARIALE DELLA SCIENZA STATISTICA  

1°.  Ogni lavoratore-pensionando del primo gruppo, in condizioni di vantaggio, per ipotesi statistica con dieci anni di vita attesa, deve riscuotere una pensione annua di € 10.000, al fine di poter consumare l'intero importo contributivo accumulato (€ 100.000 di montante, diviso per il "divisore" di 10 anni/ovvero moltiplicato per la percentuale del 10%).                   

2°. Ciascun lavoratore-pensionando del secondo raggruppamento, invece, con cinque anni di vita residua - più svantaggiato a causa di peggiori condizioni in cui si trova - deve incassare (anche se ha la stessa età di pensionamento e il medesimo montante rispetto al soggetto del primo gruppo) un importo più alto, pari a €. 20.000 annue, per poter esaurire, nel tempo più breve di sopravvivenza, loro concesso statisticamente, tutto il montante accumulato (€ 100.000 diviso per 5 anni/ovvero moltiplicato per il 20%).

III) IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA PENSIONE SECONDO LA "VARIANTE DELLA MEDIA ARITMETICA" DELLA RIFORMA “DINI”.

  Invece, la Riforma "Dini" e le successive Disposizioni di legge, compresa la Riforma Fornero, hanno scorrettamente e illecitamente modificato questo canonico metodo statistico di tipo probabilistico, sostituendolo con la seguente variante (che noi abbiamo denominata del "pollo" di Trilussa) - che stravolge la predetta regola attuariale, di cui si lamentava anche il poeta già nell'800 -  in base alla quale: 

  • A tutti coloro che alla medesima età richiedono la pensione, viene attribuita, come si può riscontrare nella Tabella, un'unica cifra di anni di vita restantefrutto di un semplice ricalcolo ricavato dalla media aritmetica tra alcuni e limitati dati e parametri demografici, comunicati dall'Istat al Ministero del Lavoro, in occasione della revisione del calcolo dei coefficienti (come quelli trasmessi, per il biennio 2020/ 2021, con le Tabelle A-D, vedi Nota Tecnica allegata al predetto Decreto Ministeriale).
  • Ciò viene applicato dalla Riforma "Dini", senza considerare, ripetiamo, tutte le altre varie e diverse aspettative di vita (tratte proprio dal sito ufficiale dell’Istat), conseguenti alle diverse predette situazioni di tipo lavorativo, personale, di genere, geografico, di istruzione, di reddito, di salute, ecc., in cui si possa trovare il lavoratore-pensionando, determinanti al fine di poter ponderare l'ammontare specifico della loro pensione.

 Insomma il criterio instaurato dalla Riforma "Dini" è imperniato su una semplice operazione di media matematica tra alcune, limitate variabili, penalizzando pesantemente quelli che statisticamente vivono di meno, ai quali la media “Dini”, alzando gli anni di vita attesa, abbassa l' importo pensionistico:

·     Come è mai possibile che nessuno abbia protestato, denunciando questo grave vulnus non solo alle pensioni dei lavoratori più fragili, ridotte nell'importo, ma anche all' Ordinamento Giuridico nazionale? Noi lo stiamo rilevando da anni.

IV) L’INDICATORE UNICO PREVISTO DALLA "VARIANTE DINI"

   Pertanto, i su riportati due indicatori statistici, di cui all'esempio, pari a 10 e 5 anni di aspettativa di vita, (previsti dall'Istat, ripetiamo, in base a precisi calcoli statistici di campionamento), vengono sostituiti dalla Riforma Dini, in:

  • Un unico indicatore mediopari a 7,5 - ottenuto in media, dividendo per 2, gli anni di vita, statisticamente attesi (pari a 10 + 5) - che rappresenta il nuovo parametro degli anni (virtuali) residui, su cui deve essere calcolata la pensione, ed è valido per tutti i lavoratori, in pensione alla stessa età.  

   Da questo intervento normativo sui generis, ne consegue che, nell’esempio, i pensionati di entrambi i gruppi percepiranno lo stesso importo annuo di pensione (€. 13,333,3) provocando una insopportabile e illecita discriminazione tra i pensionati, per cui, continuando nel suddetto esempio:  


- ESEMPIO DELLE CONSEGUENZE DELLA "VARIANTE ARITMETICA" SUI PENSIONATI 

1. I lavoratori-pensionandi del primo gruppo, più favoriti per cui, come abbiamo scritto, campano statisticamente di più (10 anni) - rispetto alla variante del "pollo a testa", che li fa fittiziamente vivere di meno (7,5 anni) - saranno avvantaggiati perché riceveranno una maggiore pensione annua di € 13.333,3 (€ 100.000:7,5 oppure x 13,333%), anziché € 10.000. 

2. Gli altri del secondo gruppo, più sfortunati - per cui statisticamente campano di meno (5 anni) - rispetto alla maggiore cifra di vita, loro attribuita in media (7,5 anni) - saranno svantaggiati perché percepiranno un importo di pensione (€ 13.333,3)inferiore a quello dovuto (€ 20.000).

V)  I PENSIONATI SFORTUNATI E LA "STATISTICA DEL POLLO" DI TRILUSSA 

    Capite cari lettori, il metodo contributivo del calcolo della pensione (così come è stato modificato irregolarmente dalla Riforma Dini), penalizza i pensionati più fragili, come quelli del secondo gruppo dell’esempio, che statisticamente vivono di meno, perché allunga loro artificialmente la durata della vita restante (da 5 a 7,5 anni residui), per cui risulteranno tre volte sfortunati

  • Hanno condizioni di vita più sfavorevoli, rispetto agli altri del primo gruppo.
  • Queste ultime accorciano loro la durata della vita;
  • Lo Stato (anzi, la Riforma "Dini") “impone” una pensione inferiore a quella dovuta (€ 13,333, anziché € 20.000, come nell’esempio), in base ad un mero calcolo di media matematica che simula quello statistico- attuariale.

   Esattamente come nella poesia della "statistica" del poeta Trilussa, in cui i lavoratori-pensionandi più "deboli" sono costretti (".... risurta che te tocca un pollo all'anno, anche se nun entra nelle spese tue") a finanziare una parte della pensione ai più "forti"("t'entra ne la statistica lo stesso, perché c'è un antro che ne magna due")!  

CAP. 7°      
RAPPORTO TRA LA PENSIONE COMPLESSIVAMENTE RISCOSSA E TUTTO IL MONTANTE VERSATO 

I) RAPPORTO SPEREQUATO AI DANNI DEI PENSIONATI PIU’ DEBOLI

    Non solo, ma da questa gravissima irregolarità/illeceità operata dalla Riforma Dini, scaturisce anche l'esito di un evidente squilibrio della "catena" tra tutta la somma  di pensione ricevuta nell'arco del periodo di pensionamento e quella dell’intero montante contributivo versato, naturalmente sempre a scapito “dell'anello” più debole. 

   Infatti ci risuona ancora nelle orecchie, la voce quasi unanime della stampa, dei mass media, dei politici e anche degli addetti ai lavori, che: "il contributivo è un calcolo equo perché restituisce complessivamente in pensione, esattamente ciò che si è accumulato in versamenti contributivi":

  • Non è vero, è una fandonia, è falso, è un’autentica fake news, così come è stato attuato dalla Riforma “Dini” e dalla Legislazione successiva!

  Altro che "calcolo equo", il contributivo è un sistema ingiusto, discriminante e penalizzante, così come è applicato dall' Inps alle pensioni obbligatorie IVS, come chiaramente dimostreremo proseguendo nel riportato esempio, in cui:


- ESEMPIO DEL MANCATO EQUILIBRIO TRA PENSIONE COMPLESSIVA E INTERO MONTANTE

1. Nel primo gruppo, più fortunato, ogni pensionato – per tutta la durata di vita residua, prevista statisticamente in 10 anni (non 7,5 anni previsti dalla media "Dini")– potrà riscuotere, alla fine: 

  •  € 133.333 di pensione (€ 13.333,3 x 10 anni)per cui la somma globalmente riscossa, risulterà superiore al totale del montante versato di €. 100.000!

2. Nel secondo gruppo, invece, ciascun pensionato - per il tempo generale stabilito dal campionamento statistico, pari a 5 anni di vita rimanente  (non 7,5 anni assegnati virtualmente) – incamererà complessivamente: 

  • € 66.667 di pensione (€ 13.333,3 x 5anni), per cui l’importo complessivamente incassato, sarà addirittura minore rispetto a quello versato per contributi previdenziali, durante la vita lavorativa (€ 100.000). In questo caso non riuscirà nemmeno ad esaurire l'intero montante contributivo accumulato! Incredibile, ma vero!

 II) RAPPORTO BILANCIATO SOLO PER LO STATO

   Come si riscontra chiaramente dal suddetto esempio, il principio di equilibrata corrispettività fra contributi e pensione, tanto conclamato dai molti sapientoni, riguarda solo le casse dello Stato che, grazie alla compensazione di tipo aritmetico, alla fine, per ogni due pensionati (appartenenti rispettivamente ai due gruppi, nell'esempio), "spenderà" complessivamente in pensione €.200.000 ( 133.333 + € 66.667), esattamente ciò che "riceve" in contributi versati, pari a € 200.000 (€  100.0000 + € 100.0000).

 III)  DISPERAZIONE E SCONFORTO DEI PENSIONATI SVANTAGGIATI

  Mentre, a quasi nessuno interessa che all'interno di questo formale e apparentemente equilibrato rapporto, si verificano, invece: 

  • Discriminazioni e disparità di trattamento: Lavoratori agevolati che incassano di più di quanto hanno versato in contributi, al contrario di altri che non riescono nemmeno a finire tutto il montante accumulato. 
  • Disperazione e sconforto nei confronti di milioni pensionati, specialmente quelli in precarie condizioni personali e socio- economiche, considerati dallo Stato figli di un dio minore, che subiscono in silenzio l'ennesimo affronto di vedersi diminuire ulteriormente la già misera pensione cui avrebbero diritto, a vantaggio di altri. Ma noi non saremo in silenzio. Mai

CAP. 8°  
I "DANNI COLLATERALI" DEL SISTEMA CONTRIBUTIVO: LE ULTIME TRE "PERLE" DELLA RIFORMA "DINI"

   Il metodo di calcolo “inventato” dalla Riforma Dini sta provocando, come abbiamo visto più sopra, non solo evidenti e ingiustificati discriminazioni e lacerazioni tra i lavoratori/pensionati, ma anche ulteriori danni economici “collaterali” che si produrranno nel tempo, alle future pensioni contributive, quali:

I) L’ INTEGRAZIONE AL MINIMO NON APPLICATA ALLE PENSIONI CONTRIBUTIVE

  "Alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo, non si applicano le disposizioni sull'integrazione al minimo" (circa €. 515 mensili). Così dispone testualmente la Riforma "Dini", creando, tra l'altro, una grave lacerazione:

  • Tra i lavoratori che usufruiscono del calcolo retributivo, ammessi al trattamento minimo (come abbiamo visto più sopra); 
  • e quelli che iniziano l'attività lavorativa dal 1° gennaio 1996

   Pensate cari lettori, il "danno collaterale" che provocherà questa “perla” regalata dalla Riforma "Dini":

  • L'importo delle pensioni contributive - senza la salvaguardia della solidarietà sociale sottesa al trattamento minimo - potrebbe anche toccare livelli minimali, quasi irrisori, come, per esempio, € 100 mensili (cento euro), da corrispondere proprio ai pensionati più fragili (lavoratori invalidi al lavoro, con il minimo di 5 anni di lavoro), a quelli che muoiono prematuramente (pensioni ai Superstiti con soli 15 anni di contributi), ovvero, a coloro che prestano attività lavorativa, retribuita in misura esigua (lavoratori domestici, ecc.).

  Una scelta legislativa vergognosa che da 25 anni sta “toccando” la vita, specialmente, di quei lavoratori e delle loro famiglie che avrebbero più bisogno di un sostegno civile.

 Un’autentica infamia per un Paese civile, di cui quasi nessuno si è  ribellato  a questa indecente operazione di cassa operata da "Dini" che, con questa ulteriore disposizione, ha riconfermato, ove ce ne fosse bisogno, che la sua Riforma ha avuto, come prevalente obiettivo, quello di produrre un Sistema tendente a ridurre quanto più possibile gli importi delle pensioni, al fine di abbassare il totale della spesa pensionistica!

II) RIVALUTAZIONE/SVALUTAZIONE DEL MONTANTE CONTRIBUTIVO IN BASE AL PIL

  Tale modalità di rivalutazione/svalutazione riguarda la generalità dei lavoratori dipendenti, la cui quota di pensione viene calcolata in tutto o in parte con il calcolo contributivo. Cioè: 

  •  Non solo, i lavoratori che hanno iniziato l’attività lavorativa dal 1° gennaio 1996.
  •   Ma anche tutti gli altri che hanno versato meno (calcolo misto) o più (calcolo retributivo) di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (per quest'ultimi, la quota contributiva si applica a partire dal 1° gennaio 2012, “grazie” alla Riforma “Fornero”).

  La Riforma “Dini”, sul tema in esame, ha disposto che:

  • Il montante contributivo accumulato dal singolo lavoratore, "si rivaluti al 31 dicembre di ciascun anno (con esclusione della contribuzione dello stesso anno), in base alla variazione media quinquennale del Prodotto interno lordo", al fine di poter procedere al recupero del potere di acquisto dei contributi più remoti, tratti dalle retribuzioni dei lavoratori, nel corso della vita lavorativa. 

   Una semplice riflessione preliminare, al riguardo:

· Come mai la riforma Dini è ricorso al PIL, per rivalutare i contributi, anziché al tasso d'inflazione annuale (come avviene in tutti i Paesi d'Europa e anche per le pensioni retributive) che rappresenta l'unica e riconosciuta formula in grado di misurare l’eventuale perdita della potenzialità di acquisto della contribuzione?

   Cari lettori, è come   se   qualcuno volesse misurare il peso corporeo con il metro sartoriale, anziché con la bilancia! Un'altra assurdità!

   Qual è il "danno collaterale"? Negli ultimi anni, l’indice del PIL (che, ripetiamo, rappresenta la ricchezza prodotta nel Paese e non la misura della perdita, nel tempo, del valore dei contributi), è notevolmente sceso per effetto della crisi economica iniziata a partire dal 2008, per cui la sua inesorabile caduta comporta conseguentemente una minore/nulla rivalutazione dei montanti accumulati nel corso degli anni e, quindi, della futura pensione:

·   Gli esperti hanno accertato, con specifiche e condivise simulazioni, che per un neo assunto, un solo punto di Pil medio in meno, durante la sua vita lavorativa, determina, "a cascata", una perdita della pensione, rispetto alla retribuzione, di circa 20 punti percentuali!

   Addirittura, l'attuale, terribile fase pandemica, in cui l’indice ha assunto valori nettamente negativi (- 9% /-12%,), comporterà, inevitabilmente per tutti i lavoratori, che le somme finora accantonate, non saranno né rivalutate né, per il momento, svalutate (in tale ultima eventualità, l'indice sarà  uguale a 1, per cui moltiplicandolo per l'importo contributivo, quest'ultimo non subirà variazioni negative):

·   Abbiamo sottolineato: "...per il momento...", perché su questa opportuna decisione di non svalutazione della contribuzione, conseguente al Pil negativo, il legislatore (D.L. 65/2015, art.5) si è subito "pentito" stabilendone, nientedimeno, il recupero, da effettuare sulle rivalutazioni successive”!

   Capite, cari lettori, l’assurdità di una “vendetta” contro i lavoratori da parte di una legge “matrigna” che si intestardisce a riscuotere successivamente l'importo della mancata svalutazione dei contributi, dovuta a una emergenza planetaria conseguente alla pandemia virale, di cui non sono responsabili certamente i lavoratori: 

  • Per esempio, una somma annuale di €.10.000 per contributi versati, non solo non si rivaluta, ma diminuisce anche nell'importo pagato dai lavoratori, a favore dello Stato!

   Poiché "al peggio non c'é mai fine", un ulteriore "danno collaterale" sulle pensioni, in tutto o in parte contributive, sarà il seguente:

·   Considerata che l’attuale situazione fortemente negativa del PIL è destinata a protrarsi nel tempo, la spietata previsione legislativa circa il successivo recupero  forzato, annullerà i vantaggi di un prevedibile e auspicato rimbalzo positivo del PIL, dopo la crisi, con la conseguenza che il montante contributivo non verrà rivalutato nemmeno negli anni in cui il PIL fosse positivocontraendo ancora di più i livelli già miseri delle pensioni contributive. Un vero e proprio disastro economico per i futuri pensionati e nessuno si ribella!

III)  L’INCREMENTO PROGRESSIVO DELLA SPERANZA DI VITA.

    Un altro "danno collaterale" è rappresentato dal micidiale e automatico ingranaggio di profilo statistico, per cui: "Più si vive, meno si guadagna"

   Infatti il combinato disposto, collegato all’aumento progressivo, nel tempo, della speranza di vita, produce, da un lato, il contestuale irrigidimento dei requisiti anagrafici e contributivi e dall’altro, la diminuzione dell’importo delle pensioni:


A) PROGRESSIVO AUMENTO DEI REQUISITI PENSIONISTICI: La speranza di vita, nel corso degli anni, a partire dal 2013 e fino al 2020 (nel biennio 2021/2022 è rimasta inalterata), è progressivamente cresciuta fino a 12 mesi, innalzando:

·    L’età pensionabile, nella stessa misura: (da 66 a 67 anni, dal 2019 fino al 2022).

·   I requisiti contributivi per la pensione anticipata, per sette mesi (da 42/41anni e 3 mesi a 42/41 anni e 10 mesi di contributi, rispettivamente, per uomini e donne, dal 2016 fino al 2026).

    Anche per questa previsione legislativa - che ha stabilito che fosse uguale per tutti anche il predetto incremento della vita attesa - bisogna effettuare l'analogo ragionamento, che abbiamo fatto in precedenza, sulla necessità di una diversa durata complessiva dell’aspettativa di vita, dovuta alle specifiche situazioni di vantaggio/svantaggio in cui si dovessero trovare i lavoratori-pensionandi, rispetto ad altri:

  • Cari lettori, si può mai credere che un lavoratore più svantaggiato (per esempio, lavoratore addetto a lavori pesanti/rischiosi, ovvero, di modesta condizione economica e sociale, senza istruzione, che vive in zona degradata, di genere maschile, ecc.) debba subire l’incremento della speranza di vita nella stessa misura di un altro lavoratore che si trova in una posizione più favorevole?

  • La Scienza statistica e anche l’Istat (vedi sito ufficiale) lo escludono categoricamente, a differenza del Legislatore “Dini”, contro ogni evidenza di ragionevolezza e di natura scientifica! 
B) LA PROGRESSIVA DIMINUZIONE DELLA PENSIONE: Inoltre, sempre a seguito dell’aumento della speranza di vita, nel biennio 2020/2021, i due predetti coefficienti (“Divisore” e “Valore”) che, contestualmente, trasformano il montante in pensione, sono stati modificati, per la quinta volta, determinando l'ulteriore ribasso degli importi pensionistici, nel seguente modo:

  • Il “Divisore” viene aumentato negli anni rimanenti, dopo il pensionamento.
  • Il “Valore”, conseguentemente, è diminuito nella percentuale.
-ESEMPIO: Differente importo tra due pensionati, collocati a riposo, rispettivamente, nell’anno 2009, ovvero nel 2021, con la medesima età (64 anni) e con lo stesso montante di € 300.000:

·   Con decorrenza dal 2009, la pensione annuale ammontava a € 17.733 (€ 300.000 diviso per 16,917, il "divisore" all'età di 64 anni, ovvero moltiplicato per 5,911%, "valore" in percentuale).

·  Con decorrenza dal 2021 al 2022, la stessa pensione annuale, invece, si riduce a € 15.180 (€ 300.000 diviso 19,763, il "divisore" - aumentato di 2,846 anni residui - all'età di 64 anni, ovvero moltiplicato per il "valore" con la percentuale del 5,060%. (diminuita dello 0,851%).

  In conclusione, il pensionato che riscuoterà la pensione nel 2021, rispetto al suo omologo che l'ha ricevuta nel 2009, a causa dell'aumento progressivo della speranza di vita, subirà una riduzione economica di ben € 2.553, pari a meno il 14,40%: Altro futuro "danno collaterale" per i nostri figli e nipoti!

  Cari lettori, lasciatemi formulare una amarissima riflessione: Questa continua e progressiva erosione della nostra pensione, inarrestabile fino all’età di pensionamento dei nostri giovani, ci fa quasi rimpiangere di vivere più a lungo!

CAP. 9°
L’ INADEGUATEZZA DELLA PENSIONE CONTRIBUTIVA

  Il principio di profilo costituzionale circa l’adeguatezza delle retribuzioni (art. 36) e quindi anche delle pensioni contributive, sarà il tema prevalente di discussione negli anni a venire, perché tra stipendi bassi, lavori discontinui, il prolungamento delle possibili cadute del PIL, a cui è agganciata la rivalutazione dei contributi versati, insieme ai descritti "danni collaterali":

  • Gli importi delle pensioni di tutti i lavoratori e, specialmente, dei giovani soggetti al sistema di calcolo interamente contributivo, rischiano di essere troppo scarsi e anche erosi progressivamente nel tempo, peraltro senza l'ombrello del minimo vitale, generando una esplosiva bomba di natura sociale, di non facile soluzione.

   Noi, con questo post, abbiamo voluto dare un modesto contributo al dibattito, chiarendo alcuni aspetti della persecutoria normativa previdenziale, non cogniti a tutti. 

I) IL CONTRIBUTIVO É INIQUO E INADATTO A CALCOLARE LE PENSIONI 

     Pertanto, possiamo, senza alcun dubbio, affermare che il metodo contributivo risulti: 

 - Da un lato, iniquo in quanto per la sua natura pubblica/obbligatoria - non potendo essere disciplinato rigidamente dalla disciplina attuariale - con la modifica legislativa su riportata, alimenta distinzioni tra pensionati (come spiegato in particolare dalle esemplificazioni riportate più sopra).

 - Dall'altro, inadatto alle pensioni obbligatorie IVS, perché l'importo della pensione, in attuazione della sopradetta regola attuariale, deve essere tarato non solo sul montante contributivo e sull'età di pensionamento, ma anche sulla differente durata statistica della vita rimanente, in rapporto ad alcune variabili personali e socio economiche, accertate dall'Istat:  

  • Il modello più significativo di tale iniquità/inadeguatezza, è quella di due lavoratori assunti nella stessa data e che vanno in pensione con la stessa retribuzione e i medesimi requisiti: Ebbene, la lavoratrice (che statisticamente vive di più) dovrebbe riscuotere comunque una pensione inferiore a quella del suo collega maschio!

   Risulta evidente che il quadro sopra esposto si dimostra difficilmente modificabile sul piano procedurale e sociale, perché imporrebbe all'INPS:

1.  Da un lato, la singola verifica - per tutti coloro che richiedono la pensione alla stessa età - della valutazione della classe di appartenenza in cui devono essere inseriti (come, d'altronde, avviene nelle assicurazioni private, però con numeri diversi e molto più limitati);

2.  dall'altro, la proliferazione di pensioni d'annata di differente importo, anche a parità di condizioni anagrafiche e di anzianità contributiva.

II) LA PROPOSTA DI ELIMINARE IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DALLE RIFORME "DINI" E “FORNERO”.

     Per tale ragione, ribadiamo con forza che vada proposta la  cancellazione  della Riforma "Dini" e di tutte le successive Disposizioni di modificazione /integrazioni legislativenonché della Riforma "Fornero", nella parte in cui hanno legiferato in materia di calcolo contributivo, in quanto esso, non solo é inadatto a calcolare le pensioni IVS, ma è anche illecito e irregolare, perché colpiscesenza alcuna motivazione giuridica e morale, "il più debole a vantaggio del più forte", come abbiamo ripetuto in tutte le sedi pubbliche e, in ultimo, recentemente alla Sala dei Convegni presso il Senato della Repubblica

     Tali considerazioni inducono, peraltro, a ritenere non esaustivi, insufficienti e inappropriati i "tavoli" ministeriali collegati al solo parametro della "gravosità dei lavori", trascurando, peraltro, tutti gli altri che pure influiscono sulla vita attesa.  

III) IL RETRIBUTIVO: E' UNICO SISTEMA RICONOSCIUTO DALLA CORTE COSTITUZIONALE

   Pertanto gli esiti socialmente inaccettabili, conseguenti alla corretta applicazione della regola attuariale alle pensioni obbligatorie Inps e il notevole e ricorrente avanzo positivo del Bilancio Inps, nel cui ambito risulta presente ancora un rilevante numero di pensioni IVS retributive, compresa la quota "100", fa sorgere una domanda spontanea (come diceva un noto conduttore): 

  • Non sarebbe il caso di passare dal sistema contributivo a quello retributivo, correlato al salario percepito durante la vita lavorativain linea, peraltro, con i giudicati della Corte Costituzionale, tutti indirizzati a considerare le pensioni, quali "retribuzioni differite, collegate alla qualità e quantità di lavoro svolto in passato, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali"(C.C. n. 173/1986)? 

    Peraltro, negli anni successivi, seguirono, com'è noto, una serie di sentenze, emesse dal Giudice delle leggi, che ribadirono, tutte, lo stesso principio di diritto, tanto da essere definitamente considerato "ius receptum" nell' Ordinamento nazionale: "Il trattamento previdenziale, avente natura di retribuzione, anche se differita, deve garantire una vita libera e dignitosa non solo al lavoratore, ma anche al pensionato, in base al combinato disposto degli art. 36 e 38 della Costituzione"   

    Una sola modifica mi sentirei di proporre al Sistema retributivo, anche per evitare raffronti del tutto strumentali: La media retributiva pensionabile, dovrebbe essere calcolata in base a tutte le retribuzioni percepite durante la vita lavorativa, così come avviene nel contributivo con il conteggio di tutto il montante contributivo.

 Per quanto sopra, in conclusione di questa lunga e approfondita disamina sul calcolo contributivo corretto dalla Riforma "Dini", Consigliere relatore della Corte dei Conti mi permetta una domanda: 

  • Le sembra conferente, giusto, equo, adeguato, proporzionato ai sacrifici finanziari dei lavoratori, un tale sistema previdenziale di calcolo della pensione, ivi compresi i successivi “danni collaterali”, previsti dalla normativa,  che non solo concorrono ad abbassare le pensioni, ma operano una serie di discriminazioni, contravvenendo ad  ogni regola di buon senso, di adeguatezza remunerativa e di natura scientifica-statistica, ancora più odiosa, perché a discapito specialmente di lavoratori più svantaggiati e della loro famiglia, proprio nel periodo del meritato collocamento a riposo?         

CAP. 10°
LA MANCATA TRASPARENZA DEL BILANCIO INPS 

    I) ANALISI CRITICA DELLA CORTE DEI CONTI  

    Il Bilancio Inps è una “ambigua miscela” in cui sono inserite insieme poste in uscita di profilo previdenziale differente, che sta provocando una riprovevole e confusa “macelleria previdenziale” ai danni dei lavoratori e delle loro famiglie, cumulando il totale delle pensioni IVS con altre prestazioni di natura non pensionistica. 

    I Giornali e i mass media si sono lanciati a testa bassa sulla notizia divulgata dalla Corte dei Conti circa la non sostenibilità del sistema retributivo (che noi abbiamo dimostrato non rispondente alla realtà, dovuta a Bilanci Inps poco chiari), ma si sono dimenticati di riportare l'importantissima notizia che:

  • La Corte dei Conti ha richiamato la Politica sull'opportunità, addirittura, di interventi normativi, finalizzati a rendere trasparente la struttura del Bilancio dell’Inps, per consentire di distinguere agevolmente le prestazioni previdenziali da quelle assistenziali

   É un richiamo eloquente, quello della Corte, che noi stiamo denunciando da tanti anni, e che rendiamo pubblico, dagli spalti di questo Blog, riportandolo integralmente in questo articolo, al fine di evitare ogni possibile contestazione:

   Infatti il Relatore scrive testualmente alle pagine 271/272, ultimo capoverso:

  • “…… La diversità di finalità, di assetto e condizione economico-patrimoniale e di struttura del Bilancio, rendono meno agevole, nella classificazione delle prestazioni, la stessa distinzione tra gli interventi di natura assistenziale e quelli di carattere previdenziale"

  II) "L'AZIONE NORMATIVA" PROPOSTA DALLA CORTE DEI CONTI

  Il Relatore, per sottolineare la necessità che il Bilancio Inps risulti trasparente, prosegue richiedendo, testualmente, che:

  • “Anche da questo punto di vista appare opportuna una azione normativa che riguardi sia la struttura del bilancio, quanto l’organizzazione dei Fondi".

     Questa contestazione della Corte dei Conti è veramente inaspettata e straordinaria, senza che nessun Organo di informazione, ripetiamo, ne abbia parlato, tantomeno i politici.

   Finalmente, cari lettori, la nostra soddisfazione è che anche il massimo Organo Costituzione del Controllo Statale si sia accorto di ciò che andiamo dicendo da anni: 

  • “L’ azione normativa”, sollecitata dalla Corte dei Conti e rivolta alla Politica, dovrebbe tendere a prevedere una disposizione regolamentare /legislativa ad hoc, finalizzata ad eliminare alla radice ogni possibile contaminazione tra gli importi di natura diversa, posti in uscita nel Bilancio.

    Pertanto, a nostro modesto avviso, il Bilancio INPS, in particolare, potrebbe essere strutturato in due sezioni, separate per competenza di finanziamento: 

  • L’una contenente i dati delle prestazioni assistenziali, a carico esclusivo della fiscalità generale pubblica; 
  • l’altra, delle pensioni IVS, a carico della contribuzione obbligatoria privata, al netto dell’IRPEF, il cui importo, peraltro, dovrebbe essere riportato in una separata partita in uscita.

   III)  NECESSITA' DI TRASPARENZA DEL BILANCIO SOLLECITATA ANCHE DAL PRESIDENTE INPS.    

    Anche il Presidente dell'Inps, nella suddetta Relazione annuale del 2020, dal titolo " Il Welfare degli Italiani", ha ribadito questa esigenza di chiarezza, scrivendo testualmente a pag.20, che: ".... sembra necessario separare, almeno da un punto di vista contabile e di trasparenza, ciò che è spesa assistenziale, finanziata attraverso la fiscalità generale, e ciò che è previdenza"

   Mi permetta, Presidente, lei ha usato i termini, quali la necessità di " separare da un punto di vista contabile" e "di trasparenza", riferiti al Bilancio, cioè al più importante Documento Contabile-Economico e Finanziario della vita istituzionale dell'Inps di cui Lei è il Presidente:  

  • Non sarebbe suo obbligo deontologico predisporre/richiedere pubblicamente e formalmente la suddetta modifica strutturale, perché il "suo" Bilancio diventi finalmente "trasparente" e "contabilmente" corretto, vista anche l'autorevole presa di posizione della Corte dei Conti?

   Ma a questo punto ci domandiamo: Perché tutta questa prepotenza e ignoranza non siano costantemente contrastate, in particolare, dall’ INPS e dal suo Presidente, in modo da ristabilire semplicemente la verità dei numeri del "suo" Bilancio e nel contempo veicolare alla pubblica opinione la corretta informazione della strapiena copertura contributiva della spesa pensionistica, escluse ovviamente le prestazioni assistenziali?

CAP. 11° 
 UNIONE EUROPEA: L'ITALIA QUANTO SPENDE PER LE PENSIONI IVS

  Purtroppo, secondo le stime dell'Ufficio Statistico dell'Unione Europea (EUROSTAT) - che vanno ad influire anche su quelle della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) - è previsto, in modo infondato, che l'Italia spenda, in spesa pensionistica, mediamente il 16,1% del Pil, cioè oltre €. 284,2 miliardi, mentre la media UE è del 12,6% pari a € 222,4 miliardi. Incredibile, ma queste sono le cifre che risultano alla Contabilità Europea! 

  I) SESPROS: IL SISTEMA EUROPEO DELLE STATISTICHE INTEGRATE SULLA PROTEZIONE SOCIALE

   Dall'analisi dell'importante documento, tratto dal sito dell'Istat,  dal titolo " la Nota metodologica"  -  cioè, il testo ufficiale in  cui vengono spiegate le modalità di realizzazione della spesa a livello europeo di protezione sociale - risulta (a pag.1) che SESPROS (il Sistema europeo delle statistiche integrate sulla protezione sociale, approvato con Regolamento comunitario n.458/2007) sia un metodo adottato dal nostro Istituto statistico e anche da quello europeo, per “assicurare la comparabilità dei conti sociali tra le statistiche compilate dai vari Paesi europei”.

   La suddetta  "Nota metodologica" prosegue affermando testualmente che: "SESPROS è  il risultato di una standardizzazione (forzata?!) a livello europeo... della protezione sociale”, relativa a spese sociali dei singoli Stati, molto diverse tra loro per finalità e modalità di finanziamento, come se fossero assimilabili le une dalle altre, facendoci fortemente dubitare sulla corretta omogeneità della classificazione collegiale a livello pensionistico tra i Paesi Europei. 

   Infatti, l’Istat, nella predetta "Nota Metodologica”, a pag.2, testualmente, ammette che quando “l'attribuzione ai settori d’intervento, non è prevista dal Sespros, essa viene effettuata dal nostro Istituto, secondo un criterio generale che fa ricadere nella previdenza”: 

  • Tutti gli interventi di protezione sociale che presuppongono la costituzione di una posizione contributiva precedente; 
  • Tra questi: "sono inclusi gli interventi finalizzati al mantenimento a breve termine del salario, in caso di evento legato allo stato di salute (indennità di malattia e indennità temporanea per infortunio o malattia professionale)”. 

 Capite, cari elettori, lo stesso Istat ammette, testualmente, che nella spesa pensionistica, a livello europeo, sono presenti elementi assistenziali / previdenziali (malattia, infortunio, ecc.), purché abbiano avuta già una copertura contributiva,  che nulla hanno a che fare con quelli pensionistici veri e propri:

  • Così facendo, si compie non solo un atto di evidente disparità e incomparabilità statistica a livello pensionistico tra i Paesi UE aderenti (non si sa quanto possano "pesare" questi interventi non pensionistici sul totale della spesa per pensioni IVS), ma anche di profilo anticostituzionale, in Italia, per il gravissimo vulnus che provoca alla nostra Costituzione, dove è previsto, ripetiamo, la netta separazione tra le due spese di  protezione sociale.
   In conclusione, diventa legittimo il dubbio che la non puntuale omogeneità a livello europeo dei dati di natura pensionistica IVS, possano comportare, di conseguenza, risultati sovrastimati sulla entità della spesa per pensioni in Italia, tali da indurre la Commissione europea e le Agenzie di rating a esigere ulteriori tagli e riforme peggiorative del nostro sistema pensionistico. 

 II) LA SPESA PENSIONISTICA DEI PAESI EUROPEI: IL DIVERSO "PESO" DELLE TASSE

    Senza considerare che, per un altro valido motivo, queste graduatorie europee non sono rispondenti alle realtà previdenziali nazionali, e quindi tra di loro non sono comparabili, perché non tengono conto che nella spesa pensionistica sono incorporate anche le imposte, il cui importo è diversificato tra i Paesi dell'U.E. (per esempio, su una pensione di €. 20.000, in Italia si paga l'imposta, più alta, del 20,20%, in Spagna del 9,09%, nel Regno Unito del 7,57%, in Francia del 5,05%, in Germania dello 0,20%).

   III) UN UNICO MODELLO EUROPEO DI STATISTICA SULLA SPESA PENSIONISTICA

    Incredibile constatare come mai nessun politico, giornalista, addetto ai lavori, ne parli e/o rilevi l'urgenza di una riorganizzazione in materia, di cui sia interessata anche l'Europa, al fine di mettere un po' d'ordine nei Manuali Regolamentari, con oltre 20 schemi (!) di protezione sociale diversi fra loro, e, conseguentemente, di prevedere un modello unico di  statistica  della sola spesa pensionistica, al netto delle tasse - cioè, quella autosostenuta dagli stessi lavoratori che sia compatibile rispetto agli Ordinamenti Nazionali di tutti i 27 Paesi  e, in particolare per l'Italia, anche alla Carta Costituzionale.  

CAP. 12°
L'ITALIA QUANTO SPENDE REALMENTE PER LE PENSIONI IVS

I) LA TRAMA DEL FILM "THE TRUMAN SHOW"      

    Temiamo che il fiorente e ricorrente dibattito instauratosi sulle pensioni, si stia trasformando in una replica del film “The Truman show”. Infatti quando leggiamo gli innumerevoli articoli di quasi tutta la Stampa o assistiamo a dibattiti televisivi con vari interventi nei talk show o sentiamo le dichiarazioni dei cc.dd. esperti e dei politici italiani, e anche degli esponenti dell'Unione Europea, essi sono quasi tutti non rispondenti alla realtà sulla vera entità del costo delle pensioni IVS, perché diretti a:  

  • Includere nell'ambito totale di queste ultime, anche altri provvedimenti di natura assistenziale (come i 72,6 miliardi di cui al Cap. 2°), strepitando, poi, sull'esplosione della spesa in uscita pari, per esempio, a 284,7 miliardi di euro (€ 212,1 md, per pensioni IVS, + € 72,6 md, per pensioni assistenziali), con il PIL che schizza al 16,1%, mischiando (?) le pensioni assistite, con le quelle IVS, in quanto ambedue le tipologie sono gestite ed erogate dall’Inps e, quindi, inserite in uscita, tutte insieme, nel Bilancio dell'Istituto; 
  • auspicare unanimemente tagli e interventi riformatori peggiorativi, finalizzati a diminuire gli importi delle pensioni future.

     In queste occasioni, cari lettori, abbiamo netta la sensazione di trovarci in un mondo irreale, in cui i Media abbiano la presunzione di manipolare la realtà: cioè ci pare di assistere di nuovo al film “The Truman show”, in cui la realtà era invece una pure invenzione creata dal regista.

    Com’è possibile discettare ancora sulla non sostenibilità della spesa pensionistica IVS, quando è stato autorevolmente e pubblicamente accertato, lo ripetiamo per l'ennesima volta, che nel 2018 (con lo stesso trend, anche negli altri anni) i costi delle pensioni IVS (€ 212,1 miliardi, al lordo  e € 160,6 miliardi, al netto) sono perfettamente in linea con quelli degli altri Paesi europei: Anzi nel caso di quest'ultimo importo netto, il Pil risulta al disotto di oltre due punti percentuali, per cui dovremmo essere tra i primi in Europa! 

    Ma di cosa stiamo parlando; veramente stiamo assistendo ad una realtà previdenziale virtuale, manipolata da un grande regista della vita sociale di questo Paese!

II) LA PUBBLICA CONFERMA DEL PRESIDENTE INPS SULLA REALE SPESA PENSIONISTICA

   É pur vero che il Presidente Inps ha confermato in due importanti pubbliche occasioni, la reale consistenza della spesa pensionistica rispettivamente negli anni 2018 e 2019

1.    Nella prima - in una pubblica audizione del 14 gennaio 2020 presso la Commissione Parlamentare di Controllo sulle attività degli Enti gestori di Forme obbligatorie, presso la Camera dei Deputati - il prof. TRIDICO ha reso la seguente pubblica dichiarazione, che noi vogliamo riportare, così come risulta dal testo del relativo verbale: “…. nell’anno 2018, l’INPS ha registrato …. uscite per prestazioni per 318 miliardi di euro, di cui 217 relativi a prestazioni pensionistiche, per un valore vicino al 12 per cento del prodotto interno lordo dell’Italia”.

2. Nella seconda, il Presidente ha scritto, nella sua Relazione annuale, a pag.20, testualmente, che: "Nel 2019 il rapporto tra spesa puramente previdenziale e il PIL è pari al 12,7" (cioè siamo intorno a 227 miliardi, nel 2019)

    Capite cari lettori, anche il "massimo Responsabile" del Bilancio Inps ha da tempo pubblicamente dichiarato che la spesa pensionistica, anche al lordo delle tasse, negli anni 2018 e 2019, è stata intorno al 12%, con decimali, del PIL, perfettamente coerente con quella dei maggiori Paesi Europei.

   Ciò conferma, anche formalmente, ciò che stiamo denunciando da anni, in relazione alla vera cifra complessiva della spesa delle pensioni IVS e alla conseguente piena copertura del sistema pensionistico in Italia, con le sole risorse dei lavoratori!

   Purtuttavia, ciò non è ancora sufficiente a spazzare via tutte le fandonie che vengono dette e ripetute continuamente sulle pensioni e che purtroppo fanno testo nell’opinione pubblica in Italia e in Europa.

III) L'INVITO PUBBLICO AL PRESIDENTE INPS E LA FIABA "IL RE È NUDO".

    Presidente TRIDICO, per non passare alla storia come il novello sig. “Truman” - che solo alla fine  si accorge di trovarsi a vivere in un mondo parallelo a quello reale - faccia in modo che ad ogni dibattito televisivo, ad ogni articolo di giornale, ad ogni allarme /allarmismo diffuso dalla Commissione Europea, segua uno scarno, formale e doveroso comunicato dell' Ufficio Stampa dell’INPS, in cui venga solamente corretta la “vera” verità sulla entità della spesa complessiva delle pensioni IVS, così come risulterà ogni anno dalla pubblicazione del Bilancio INPS, le cui poste in uscita per pensioni e assistenza, potranno essere chiaramente distinte e riconosciute da tutti, anche in Europa, attraverso una sua annuale e pubblica Conferenza con la Stampa nazionale e estera.

    In questo modo, Presidente, sia sicuro che renderà un servizio di verità altamente sociale a favore dei milioni di pensionati e lavoratori e darà una speranza a tutti noi di poter vivere finalmente in un mondo reale e non apparente e virtuale, in cui non siano le fake news a regolare la nostra vita economica, sociale e previdenziale, ma siano, invece in tanti, tantissimi, a gridare con fermezza: "Il re è nudo", insieme al quel bimbo (ancora dentro di noi) della fiaba di Andersen, che vedeva il re sfilare senza vestiti, di fronte a cittadini-sudditi che a gran voce ne lodavano l'eleganza.

Dr. Prof. a c. Lucio Casalino
ex Direttore di Sede Inps
Consigliere Nazionale Cisal

 

 


ALLEGATO

MINISTERO DEL LAVORO

TABELLA COEFFICIENTI PER IL CALCOLO DELLA PENSIONE DAL 1.1.2021

ETA’

DIVISORI

VALORI

57 anni

23,892 anni residui

4,186%

58 anni

23,314 anni residui

4,289%

59 anni

22,734 anni residui

4,399%

60 anni

22,149 anni residui

4,515%

61 anni

21,558 anni residui

4,639%

62 anni

20,965 anni residui

4,770%

63 anni

20,366 anni residui

4,910%

64 anni

19,763 anni residui

5,060%

65 anni

19,157 anni residui

5,220%

66 anni

18,549 anni residui

5,391%

67 anni

17,938 anni residui

5,575%

68 anni

17,324 anni residui

5,772%

69 anni

16,707 anni residui

5,985%

70 anni

16,090 anni residui

6,215%

71 anni

15,465 anni residui

6,466%

Tasso di sconto 1,5%

 


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