T I T O L O
- LA CORTE DEI CONTI: MANCATA TRASPARENZA DEL BILANCIO INPS 2018.
- IL METODO CONTRIBUTIVO: “IL POLLO" DI TRILUSSA, I “DANNI COLLATERALI” E LA PROPOSTA DELLA SUA CANCELLAZIONE.
- IL METODO RETRIBUTIVO: RICONOSCIUTO DALLA CORTE COSTITUZIONALE.
-LA SPESA DELLE PENSIONI ASSISTENZIALI: "UNA LEGGENDA METROPOLITANA".
-LA SPESA DELLE PENSIONI IVS: “THE TRUMAN SHOW” E LA FIABA “IL RE É NUDO”.
PREMESSA
UN'ANOMALIA STRUTTURALE DEL BILANCIO INPS
In esordio,
è necessario subito segnalare la notizia che la Corte dei Conti,
nell’ultima Relazione di controllo, ha riscontrato un’anomalia "strutturale" nel
Bilancio Inps, arrivando a proporre l’opportunità di interventi
normativi, di cui nessun Organo d’ informazione/mass media ha parlato
o scritto, tranne noi, con questo articolo sul Blog
Siamo perfettamente
d’accordo con la Relazione dell’Organo di controllo, nella parte in cui
considera il Bilancio Inps, com'è strutturato attualmente, composto da una
complessa promiscuità di spese di natura pensionistica IVS e
assistenziale, per cui ha ragione il Relatore quando scrive come non sia
assolutamente “agevole distinguere le une dalle altre"; argomento di cui parleremo
dettagliatamente al Cap.10.
Purtroppo, ciò che
rileva la Corte dei Conti, comporta una gravissima conseguenza di
carattere economico per i lavoratori-pensionandi, perché,
aumentando virtualmente e ingiustificatamente la spesa
pensionistica IVS (conseguentemente, anche la percentuale del PIL),
si determina l'apparente giustificazione da parte dello Stato di
dover ricorrere a Riforme peggiorative (Dini, Monti - Fornero e
ai tagli alle pensioni, ipotizzati anche dall'ultima Relazione annuale
del Presidente Inps), al fine di far diminuire, per compensazione, l’importo delle
pensioni da erogare.
È una battaglia che stiamo conducendo da anni, in
beata solitudine; è una vera e propria trappola per i
lavoratori, di cui nessuno parla, fondata su una fake news sulle pensioni
dell'Inps, cioè come il titolo di questo Blog, è un’autentica FAKEINPS.
CAP. 1°
I DUE SISTEMI DI
PROTEZIONE SOCIALE PREVISTI DALLA COSTITUZIONE: PREVIDENZA E
ASSISTENZA
La
Costituzione sancisce la precettività dell'art.38, nella parte in cui descrive
la struttura della protezione sociale, operante immediatamente nell'Ordinamento
giuridico, distinguendo nettamente il sistema
della previdenza sociale (comma 2), da quello dell'assistenza
sociale (comma1).
Essi rappresentano
due diverse fattispecie tipiche
e distinte, anzi, opposte, per soggetti interessati, natura,
funzione e modalità di finanziamento.
Questo è il motivo per
cui diventa non solo giuridicamente, ma anche contabilmente corretto,
postarle separatamente nel Rendiconto finanziario dell’Istituto previdenziale.
I) IL SISTEMA DELLA PREVIDENZA:
IN PARTICOLARE DELLE PENSIONI IVS
In particolare,
nell'ambito del sistema di previdenza, quello relativo alle pensioni
IVS, che ne rappresentano un sottosistema, è di natura
interna ai lavoratori-pensionandi, ancorché obbligatorio per
legge, perché autofinanziato solo da una parte della collettività
nazionale – in stragrande maggioranza dai lavoratori dipendenti
- attraverso il prelievo dei contributi del 33% (per i
dipendenti) dalla loro retribuzione, al fine di coprire esclusivamente il costo
delle pensioni in essere (il contributo datoriale è inteso quale retribuzione
differita del lavoratore):
- La
contribuzione previdenziale non rappresenta una imposizione tributaria
vera e propria, ma "una tassa di scopo", diretta unicamente a
finanziare le pensioni in pagamento.
La previdenza
pensionistica realizza, quindi, una forma obbligatoria contro i
rischi generici e specifici degli stessi lavoratori-pensionandi, quali
l'invalidità al lavoro, la vecchiaia, il decesso:
- In sintesi, trattasi di un
sistema a ripartizione, speculare e strettamente collegato tra la
contribuzione versata e le pensioni, in pagamento, d’invalidità al lavoro, vecchiaia/anzianità/anticipata, ai superstiti, supplementari, supplementi e ricostituzioni (identificate con l’acronimo IVS, per cui in seguito: "pensioni IVS"), .
Pertanto, i contributi
previdenziali assumono una triplice funzione:
· Oltre ad
essere una risorsa economica per pagare le pensioni IVS in essere,
hanno anche quella di essere calcolatati come cifra dei requisiti
necessari, previsti dalla legge, per raggiungere il diritto alle pensioni
IVS, e come misura dell'importo delle stesse.
II) IL SISTEMA DELLE PRESTAZIONI
ASSISTENZIALI
Invece il Sistema delle
prestazioni assistenziali ha natura generale, perché si
rivolge a tutti i cittadini che siano inabili al lavoro, minorati
fisici e psichici o indigenti, i cui oneri, a carico dello Stato, sono finanziati
da tutta la collettività (compresi, ovviamente i
lavoratori), attraverso la Fiscalità generale.
Il diritto alla prestazione
assistenziale prescinde dalla contribuzione (che peraltro non versano), ma
dipende solo dalle condizioni personali, sanitarie e economiche in cui si trova
il cittadino beneficiario, bisognoso di essere assistito dallo
Stato, quale espressione della solidarietà
generale.
Insomma, cari lettori, da
questa inascoltata esigenza di separazione contabile (siamo convinti che l'autorevolissimo
richiamo della Corte dei Conti, tramite il megafono di questo Blog,
abbia un seguito in ambito politico), capite bene quanto sia penalizzante ogni
contaminazione dell'assistenza nella spesa pensionistica, aumentando il
carico contributivo sulle retribuzioni dei lavoratori.
Peraltro, ogni norma anche
contabile che dovesse violare il principio della separazione tra i due Sistemi,
si configurerebbe in contrasto con il dettato costituzionale
Inoltre, a mio
avviso, ciò diventa pregiudiziale ad ogni ulteriore iniziativa di
"tavoli" ministeriali per la separazione tra previdenza e assistenza.
CAP. 2°
LE PENSIONI IVS GESTITE DALL'INPS E FINANZIATE DAI LAVORATORI
Innanzitutto
registriamo dall’autorevole sito “Itinerari Previdenziali” che, nel
2018:
La spesa lorda complessiva (di
cui i lavoratori si assumono l'onere/obbligo della copertura finanziaria con
propri contributi) delle sole pensioni Inps IVS, mutualizzate, è stato pari a €
212,1 miliardi, con il Pil al 12,01%:
- al
netto di €
35,8 miliardi per provvedimenti di natura assistenziale, a carico
dello Stato, ma finanziati dalla "Gestione degli Interventi
Assistenziali" (di seguito: GIAS), istituita presso l'Inps;
- al
netto di €
9,3 miliardi, finanziati dalla GIAS, per conto dello Stato-datore di
lavoro, per le prestazioni erogate ai pubblici dipendenti, in
considerazione del saldo negativo tra pensioni e contributi nella Gestione
Statale trasferita presso l'Inps (ex Inpdap).
- al
lordo di € 51,5
miliardi, per imposte (IRPEF) pagate dai pensionati.
I) CON L’ESCLUSIONE
DELLE PENSIONI/PRESTAZIONI ASSISTENZIALI
Dalla spesa complessiva dalle
pensioni IVS, sono state escluse le seguenti pensioni e prestazioni aventi
natura assistenziale:
1. I
pensionamenti anticipati, esodati e varie (€ 2,2 miliardi).
2. Le
pensioni assistenziali, pari a € 22,3 miliardi, (Pensioni
e Assegni sociali, Pensioni di guerra dirette e indirette, Pensioni
d’invalidità civile e Indennità di accompagnamento).
3. Le prestazioni
assistenziali pari a € 3 miliardi (quattordicesima
mensilità, maggiorazioni sociali varie, importo aggiuntivo)
II) LE INTEGRAZIONI AL MINIMO DELLE
PENSIONI RETRIBUTIVE
In questa sede giova
sottolineare che dovrebbe essere
considerate in detrazione, anche la somma complessiva di € 7,8 miliardi,
di natura assistenziale, relativa alla:
- Quota
delle integrazioni al minimo (escluse dalla riforma Dini per i
lavoratori dal 1.1.1996 !?) a favore delle pensioni solo
retributive al disotto della soglia minima (circa 515 euro), il
cui importo complessivo è ancora incluso nel complesso della spesa pensionistica,
perché tali trattamenti previdenziali sono pagati attualmente dai
rispettivi Fondi Inps interessati.
CAP. 3°
IL BILANCIO INPS
2018: ANALISI DELLE USCITE E DELLE ENTRATE
In premessa, segnaliamo
che i dati pensionistici e contributivi che seguono, sono tratti dal
7° Rapporto del sito “Itinerari Previdenziali,” che ha fatto
riferimento al Casellario Previdenziale INPS, a cui ha cooperato
anche l’Inps.
Dal suddetto Rapporto,
abbiamo espunto le Casse privatizzate dei liberi professionisti in modo di
focalizzare il nostro lavoro solo sulle pensioni IVS, gestite dall’Inps e sul
suo Bilancio.
I) LA SPESA LORDA
DELLE PENSIONI IVS
Ribadiamo, con dati
analitici incontestabili, che nel 2018, l'uscita in Bilancio
per pensioni IVS (€ 212,1 miliardi, al lordo dell’Irpef), è
così ripartito nell’ambito dei seguenti Fondi:
- 122,1 miliardi
per i lavoratori dipendenti privati;
- 61,3 miliardi
per dipendenti pubblici (esclusi €.9,3 md erogati dalla
GIAS, vedi sopra)
- 21,8 miliardi
per i lavoratori artigiani e commercianti;
- 3,8 miliardi
per coltivatori diretti, coloni, mezzadri;
- 0,9 milioni per
il Fondo clero;
- 1,0 miliardo per la Gestione per i lavoratori
parasubordinati;
- 1,2 miliardo
per i Fondi integrativi Inps (Gas, Esattoriali, Miniere, Enti disciolti,
Consorzio porto di Genova e di Trieste) e Fondi integrativi delle Casse
509 (Enasarco e Enpaia).
Giova
sottolineare che, anche nel corso degli anni precedenti, il costo delle pensioni
IVS, al netto dell'assistenza e al lordo Irpef, ha confermato questo
trend di spesa: € 210,9 miliardi nel 2013; €
212,2 miliardi, nel 2014; € 213.7 miliardi
nel 2015; € 214,2 miliardi nel 2016; €
216,7 miliardi nel 2017.
Anche nel 2019, la spesa
pensionistica si conferma in linea con questa tendenza, perché
ammonta a € 225,2, miliardi, con il PIL del 12,6%,
esclusi ovviamente i liberi professionisti (vedi 8° rapporto sul Bilancio Inps,
anno 2019, dal sito di "Itinerari
previdenziali").
II) LA SPESA NETTA
DELLE PENSIONI IVS NEL 2018: L’IRPEF VERSATA DAI PENSIONATI
- € 212,1 miliardi, ripetiamo, è
la spesa lorda delle pensioni IVS, relativa a tutte le Gestioni
Previdenziali.
- € 160,6 miliardi è la
spesa al netto delle tasse pari a € 51,5 miliardi
(212,1 md, meno 51,5 md), in quanto l'IRPEF, prelevata alla
fonte prima della erogazione delle pensioni, è girata direttamente alle
Casse dello Stato, per cui il pensionato percepisce solo il netto
- che quindi rappresenta l’effettivo costo pensionistico - mentre
lo Stato, incamerandone immediatamente l'importo, “recupera una
parte della spesa, tramite le imposte sul reddito", (come
suggerito testualmente anche dal Presidente Inps, nella sua
ultima Relazione annuale, a pag. 20):
- É
evidente che trattasi semplicemente di una partita contabile di
giro, in base alla quale l'IRPEF è da considerare una” non
spesa", certamente non pensionistica, per cui
diventa scorretto, dal punto di vista contabile,
postarla in uscita, incorporata nella spesa delle pensioni IVS.
- Quest'ultima,
anzi, aumentata, in questo modo surrettiziamente, provocherà
l'effetto perverso della sua ulteriore copertura con altre risorse
contributive, da parte dei lavoratori-finanziatori!
Assurdo. Insopportabile, cari
lettori. Al danno anche la beffa. Si pensi che in Germania, il
tributo sulle pensioni rappresenta una percentuale irrisoria, pari a
0,2%: Per il pensionato tedesco la spesa pensionistica
praticamente non subisce il peso del carico fiscale, al
contrario di ciò che deve sopportare il pensionato italiano, a causa di
una operazione contabile scorretta (?), operata dal Bilancio Inps.
III) Il PIL, relativo al costo
netto delle pensioni IVS (circa 17,6 miliardi per ogni punto
percentuale, nel 2018), è pari al 9,1%, al di sotto di oltre
due punti percentuali, rispetto alla media europea e pari addirittura a quella
giapponese!
Una considerazione
sulle tasse. Nei programmi di tutti i partiti e, non ultimo dello stesso
Governo “Draghi”, è inserita la programmazione del taglio dell'Irpef:
· Pensate cari
lettori, la diminuzione del carico fiscale, impropriamente ma fortunatamente,
comporterà, di conseguenza, anche la riduzione della spesa
pensionistica! Assurdo, ma vero!
Però, una domanda, per
onestà intellettuale, al Presidente Inps:
- Cosa
c'entra il fisco con le pensioni?! Perché Presidente, non inizia a dare subito
disposizioni interne ai suoi Uffici contabili per separare
almeno, tra le poste in uscita del Bilancio, la spesa fiscale da
quella delle pensioni IVS? Ciò favorirebbe l'avvio di un percorso di
trasparenza, come da Lei auspicato nell'ultima Relazione.
IV) LE ENTRATE CONTRIBUTIVE VERSATE DAI
LAVORATORI PER IL SISTEMA PENSIONISTICO
Le entrate contributive
(comprensive dei trasferimenti per coperture figurative, sgravi e agevolazioni
contributive), versate dai lavoratori per le pensioni IVS, prelevate
dal loro salario, nel 2018, ammontano a € 196,3 miliardi:
- 126,6 miliardi
dai lavoratori dipendenti privati;
-
40,1 miliardi, dai dipendenti pubblici (esclusi
€ 10,8 md. per contributi anticipati dalla GIAS, per conto dello
Stato);
-
18,8 miliardi dagli artigiani e commercianti;
-
1,3 miliardo dai coltivatori diretti, coloni e
mezzadri;
-
0,3 milioni dal clero;
-
8,0 miliardi dai lavoratori
parasubordinati;
-
1,2 miliardo dai Fondi integrativi;
V) RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA:
PIENA SOSTENIBILITA' DEL SISTEMA PENSIONISTICO IVS
Il Bilancio INPS presenterebbe,
così, un saldo attivo tra contributi e pensioni IVS, al netto
delle tasse, di ben € 35,7 miliardi (€
196,3 miliardi, in entrata – € 160,6 miliardi, in
uscita).
- Una provocazione: non sarebbe
il caso di abbassare addirittura l’aliquota contributiva (tasso del 33%
per i lavoratori dipendenti, il più alto nell'intera Ocse, la cui
media si attesta intorno al 18,4%), per aumentare il salario,
concorrendo a diminuire, in tal modo, il cuneo fiscale a favore dei
lavoratori.
VI) LA GESTIONE DEI PUBBLICI (EX
INPDAP): IL "BUCO" DI €.10,4 MILIARDI
Nel 2018, il saldo negativo della
Gestione dei dipendenti pubblici ammonta a € 10,4
miliardi, pur escludendo:
- € 10,8 miliardi, in
entrata, per il contributo aggiuntivo (vedi paragrafo IV) a carico del datore di
lavoro - Stato;
- €
9,3 miliardi, in uscita, per prestazioni coperte dalla GIAS (vedi paragrafo I).
Tale disavanzo, ancora
una volta, deve essere coperto impropriamente con il
sacrificio dei lavoratori privati (con
ulteriori contributi) e/o dei pensionati (con la
diminuzione delle pensioni):
·
Prof.ssa Fornero, prima di fare un cambiamento strutturale così
complesso, sopprimendo nel 2012 l'Inpdap e facendo confluire i suoi cronici
conti finanziari all'interno del Bilancio Inps, anche se con contabilità
separata, non sarebbe stata buona norma morale oltre che giuridica-contabile, predisporre
legislativamente la copertura automatica di questo
disavanzo da parte dello Stato-datore di lavoro, di cui Lei era un
alto e degno rappresentante?
È spiacevole constatare che
tutto questo sia stato riformato ancora una volta alle spalle dei
lavoratori/pensionati Inps
CAP. 4°
LE PRESTAZIONI
ASSISTENZIALI GESTITE DALL' INPS, MA FINANZIATE DALLO STATO: "UNA LEGGENDA METROPOLITANA".
L'Italia devolve al
Welfare, nientedimeno che il 56,08% dell'intera spesa statale:
mentre per le prestazioni di natura assistenziale, gestite
dall'Inps nel 2018, il costo complessivo ammonta a ben € 105,6
miliardi, (somma interamente garantita dallo Stato, mediante il trasferimento di
risorse di pari importo all'Istituto Previdenziale), così ripartito:
- €
72,6 miliardi per prestazioni (€ 45,1 md, a carico della GIAS, + 27,5 md, per le pensioni assistite, come dettagliatamente
riportato più sopra nel Capitolo 2°), a cui vengono aggiunti altri:
- € 33 miliardi per oneri non pensionistici (per il
mantenimento del salario, a sostegno della famiglia, sgravi, ecc.).
I) BILANCIO INPS COMPLESSIVO DI TUTTE LE PRESTAZIONI (PENSIONISTICHE E
ASSISTENZIALI) GESTITE DALL’INPS
Pertanto, nel Bilancio risulta
in uscita, per tutte le prestazioni pensionistiche e assistenziali erogate dall’INPS, la somma
complessiva di € 317,7 miliardi, di cui € 212,1 miliardi
per pensioni IVS (che è il reale valore lordo delle pensioni vere e proprie) e €
105,6 miliardi per pensioni/prestazioni assistenziali, di competenza
della Fiscalità generale).
Al riguardo alcune considerazioni,
per smentire alcune fake news che circolano anche fra gli addetti ai lavori:
- Sul
totale delle prestazioni erogate dall’ Inps (ribadiamo: € 317,7 miliardi), più del 33% (pari a € 105,6 miliardi, di cui sopra) è assistenza statale.
- Sulle
rimanenti prestazioni IVS (€ 212,1
miliardi), lo Stato ci guadagna € 51,5
miliardi (il 25%) per le imposte pagate dai pensionati.
- Il
costo netto delle pensioni, nel 20018, ripetiamo, coperto abbondantemente
dai lavoratori, è pari a € 160,6
miliardi (€ 212,1 md. meno € 51.5 md. d'imposte).
Pertanto sfatiamo una volta per tutte la leggenda
metropolitana dei cc.dd esperti “sugli alligatori nelle fogne di New
York", secondo la quale lo Stato si indebita per "finanziare le
pensioni IVS".
Cari lettori, lo ribadiamo per l'ennesima volta, a costo di essere
criticati per l’eccessiva ripetitività, che le pensioni sono interamente supportate
dai lavoratori, anzi con un netto saldo attivo:
- La
verità è che lo Stato gira all'Inps oltre cento miliardi di euro solo per le
spese di sua competenza, postate in uscita nel Bilancio, insieme
a quelle per pensioni IVS.
Da questi dati
risulta evidente come sia la spesa assistenziale ad
andare fuori controllo, per la quale lo Stato è costretto anche a
indebitarsi sui mercati finanziari, smentendo un'altra "leggenda
metropolitana", secondo cui “si spenderebbe
poco per le prestazioni sociali e molto per le pensioni IVS”: a nostro avviso, l'assistenza dovrebbe essere selettivamente razionalizzata, anche al
fine di evitare duplicazioni e/o sovrapposizioni.
II) AGENZIA PER LA SPESA ASSISITENZIALE
Per evitare ciò, la nostra proposta è
quella di istituire:
- Un'
Agenzia centralizzata di anagrafe della spesa assistenziale che
consenta di effettuare un mirato monitoraggio tra i diversi Enti erogatori
(Enti, Comuni, Regioni, Inps, Stato) e un adeguato sistema di controlli,
al fine di poter indirizzare queste risorse a chi ne ha veramente bisogno
e non a malfattori, camorristi, mafiosi ed evasori.
Cari lettori, un dato è certo
e sotto gli occhi di noi cittadini: Nonostante questa enorme
massa di danaro concessa così generosamente, la povertà non è stata
eliminata in Italia. Anzi.
In conclusione, il vero problema
è il costo elevato degli
interventi sociali che permette alla Politica di fare promesse
ai cittadini-elettori, condivise dai soliti noti ai quali, per ovvi motivi, non
conviene riclassificare e separare la spesa pensionistica da quella assistenziale,
a cominciare dal Bilancio Inps, la cui struttura non trasparente è
stata attenzionata, addirittura, dalla Corte dei Conti.
III) I PENSIONATI ASSISTITI DALLO STATO
A ulteriore conferma di
quanto sopra, cari lettori vi voglio mostrare il dato sconcertante, tratto
dagli Archivi Inps, sul numero dei pensionati, e confermato anche dal
Presidente dell'Inps, nella sua Relazione (pag.16):
- Sono
n. 16,035 milioni, il totale dei pensionati
attualmente gestiti dall’Inps.
- Di
quest'ultimi, nientedimeno, più della metà (8,2 milioni) sono
pensionati assistiti parzialmente o
integralmente dallo Stato, che non hanno mai pagato alcun
contributo previdenziale, né sono soggetti all’IRPEF, mentre i
veri pensionati INPS, rappresentano meno della metà (circa 8
milioni). Peccato che il Presidente si sia "dimenticato" di
aggiungere questo piccolo, ma significativo particolare nella sua
Relazione!
Giù le mani dalle
tasche dei Lavoratori. Questo è il grido che lanciamo da questo Blog: non
utilizzate nemmeno un euro dal salario dei lavoratori, per finanziare
l’assistenza!
CAP. 5°
LA CORTE DEI CONTI: LA RELAZIONE ANNUALE
DI CONTROLLO SULL'INPS
Come accennato
in esordio, la Sezione di Controllo della Corte dei Conti, annualmente
redige una relazione di controllo sulla Gestione Finanziaria del
Bilancio dell’Inps.
In questo capitolo,
procediamo ad una analisi più approfondita sulla Relazione di controllo del
Bilancio Inps, per l'anno 2018, relatore il Consigliere Antonio
Buccarelli, approvata con delibera n. 83/2020.
È un documento
proveniente della massima Autorità di controllo statale, di rilievo
costituzionale, di quasi 300 pagine.
Il documento, in
particolare, rileva inconfutabilmente - come dimostreremo più sotto
riportando il testo virgolettato - che i dati contabili,
riferiti alla spesa delle pensioni IVS e all’ assistenza, e inseriti, tutti
insieme, nel Bilancio Inps, possono essere causa di mancata trasparenza e,
conseguentemente, di errori di valutazione.
I) LA SPESA COMPLESSIVA DELLE PENSIONI IVS
ACCERTATA DALLA CORTE DEI CONTI
In tema di spesa delle
pensioni IVS, il Relatore dell'Organo di controllo scrive
testualmente a pag. 269, che:
- "La spesa per prestazioni
pensionistiche (incluse quelle di invalidità civile) é pari a 279,7 miliardi".
Il Relatore
prosegue, aggiungendo, a pag. 270, che:
- "In riferimento alla spesa pensionistica, va
rilevato che oltre il 18% è a carico dello Stato - attraverso il
finanziamento della GIAS - per un ammontare complessivo di 50,6
miliardi";
- "Gli oneri a totale copertura delle
prestazioni erogate agli invalidi civili, sono pari a 18,2
miliardi".
Pertanto il totale della spesa
pensionistica IVS, accertata dalla Corte dei Conti, si riduce a
€ 210,9 miliardi (€ 279,7 md, meno € 50,6 md, meno € 18,2
md), con il PIL dell'11,9 %, addirittura lievemente
inferiore all'importo indicato da noi e ricavato dagli
archivi Inps (€ 212,1 miliardi).
A questo punto, Consigliere
relatore, mi permetta tre considerazioni al riguardo:
1° Perché inserire
nel totale della "spesa delle prestazioni pensionistiche” - anche
se solo in parentesi - anche “quelle di invalidità civile”, di
natura chiaramente assistenziale?
2° Considerata la
sottolineatura, nella conclusione della Relazione, della riscontrata complessità
strutturale del Bilancio Inps che comporterebbe una evidente difficoltà a "distinguere" la
spesa delle pensioni IVS da quella assistenziale, è probabile
che questa lieve incertezza nell'individuare alcune cifre sistemate in Bilancio, possa essere
stata la causa del suddetto esiguo disallineamento, rispetto a quanto da noi
segnalato più sopra.
3° Comunque l'importo
indicato nella Relazione (dedotti ovviamente gli oneri a carico dello Stato),
sconta un PIL inferiore a quello medio europeo (intorno al 12%):
- Il che
testimonia, autorevolmente, la piena sostenibilità del
Sistema Pensionistico in Italia con i soli contributi versati dai
lavoratori!
II) CRITICA DELLA CORTE DEI CONTI AL
CALCOLO RETRIBUTIVO
Alla pagina 4 del
documento della Corte dei Conti, il Relatore, critica il sistema retributivo,
scrivendo testualmente che:
“In un sistema previdenziale che eroga
gran parte delle prestazioni ad elevata componente retributiva …. e il blocco
dell’indicizzazione dell’età di uscita dal lavoro alla speranza di vita
…. comportano …. debito esplicito, in quanto la
componente retributiva non viene corretta per tener conto della maggiore durata
della prestazione.”
Il Relatore, in buona
sostanza, sostiene che le pensioni retributive “comportano
debito" perché il calcolo non tiene conto della diversa
durata di vita dei titolari di pensione, in rapporto all’età di
pensionamento, che è, invece, collegata al metodo
contributivo.
- A questo proposito, Consigliere
Relatore, mi consenta una semplice riflessione sugli esiti della non
sostenibilità del Sistema retributivo:
· Dai dati autorevoli sopra esposti, risulta, comunque, che il sistema pensionistico
IVS, pur "ad elevata componente
retributiva", NON "produce debito esplicito”, in
quanto la struttura previdenziale si presenta più che sostenibile, mostrando,
anzi, un avanzo di gestione, nel 2018, di ben 35,7 miliardi, alla
sola legittima condizione che venga correttamente calcolata,
da sola, la spesa delle pensioni IVS, al netto dell'assistenza
e dell'Irpef, come già ampiamente dimostrato.
Infine, mi permetta, alcune
considerazioni, che seguono, sul Sistema contributivo, così come
è applicato dalla legislazione vigente, rispetto alla speranza di vita.
CAP. 6°
IL METODO CONTRIBUTIVO
I) COME SI CALCOLA LA PENSIONE CONTRIBUTIVA
Con il metodo
contributivo, la pensione non risulta più legata alla retribuzione, ma è
vincolata alla contribuzione versata nell'arco dell'intera vita lavorativa
e alla diversa durata della speranza di vita tra i
pensionati.
Nella Tabella
(allegata al Decreto del Ministero del Lavoro dell'1.6.2020 e posta alla
fine di questo post), sono inseriti due coefficienti (Divisore e Valore)
che, contemporaneamente, trasformano i contributi in pensione, per cui, dal
1°gennaio 2021, l'importo della pensione si ottiene:
- Dividendo il
montante contributivo per "il Divisore" (II°
colonna, che rappresenta gli anni residui di vita);
- oppure, moltiplicandolo per "il
Valore" (III° colonna, espresso in una percentuale, ricavata
dalla divisione tra 100 e gli anni di vita attesa), relativi all'età del
dipendente alla data di decorrenza della pensione (I° colonna).
Pertanto è vero che
l'importo (comprensivo del tasso di sconto del 1,5%) è correlato alla
speranza di vita media, in rapporto decrescente di vita residua (da 23,892
a15,465 anni), rispetto alla maggiore età in cui si può andare in pensione (da
57 a 71 anni), per cui:
- Più
alta (71
anni) è l'età di pensionamento, maggiore sarà
l'importo pensionistico, perché meno saranno gli anni
residui da vivere (15,465 anni), in cui viene esaurito il montante
versato.
- Più
bassa (57
anni) è l'età di chi richiede la pensione, inferiore sarà l'importo,
perché di più sono gli anni di vita attesa (23,892 anni),
in cui devono essere distribuite le rate di pensione.
In modo dettagliato, con lo
stesso montante accumulato di €.100.000, risulta che:
-Per coloro che vanno in pensione (con
quota 100) all' età di 62 anni, la pensione
sarà pari a all'importo annuo di € 4.770, derivante dal
montante (€ 100.000):
- Diviso per 20,965, (il "Divisore" di
anni residui di vita, in relazione all'età di 62 anni in cui chiede la
pensione), ovvero moltiplicato per la conseguente
percentuale (il "Valore") del 4,770% (€
100.000 diviso 20,965 anni, ovvero moltiplicato per 4,770%).
-Per quelli in pensione (di vecchiaia)
a 67 anni, la pensione sarà di €.5.575, prodotta
dal montante (€ 100.000):
- Diviso per 17,938 (il "Divisore" di
anni di vita attesa, segnalato a fianco dell'anno di pensionamento, pari a
67 anni), ovvero moltiplicato per la
percentuale (il "Valore") del 5,575%. (€
100.000 diviso per 17,938, ovvero moltiplicato per 5,575%).
- Così via per tutti gli altri in pensione
fino all'età di 71 anni, con uguale speranza di vita (15,465 anni)
ed importo pensionistico (€ 6.446), come previsto in tabella.
II) IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA
PENSIONE, SECONDO LA DISCIPLINA ATTUARIALE DELLA SCIENZA STATISTICA
Ma è altrettanto vero,
però, che la predetta Tabella (come si può riscontrare in dettaglio) è formata
in modo tale che, accanto a ciascuna età di pensionamento (da 57 a 71anni),
viene indicata una sola aspettativa di vita (da
23,8 a 15,3 di anni residui), uguale per tutti i
lavoratori che vanno in pensione alla medesima età.
Questa impostazione mono-numerica,
voluta dalla Riforma “Dini”, contraddice nettamente il principio
fondante della Scienza statistica, secondo il quale la
flessione della mortalità non si distribuisce
uniformemente all'interno delle diverse classi sociali.
Infatti proprio dal
sito ufficiale (istat.it), si rileva costantemente una differente durata di previsione di vita, che dipende da alcune specifiche
caratteristiche di cui i lavoratori-pensionandi siano in possesso, quali
le categorie (elenco non esaustivo):
- della gravosità o meno
dell'attività lavorativa;
- del genere maschile o
femminile (le donne vivono di più);
- della
diversa ubicazione territoriale (al nord si vive di più, rispetto
al sud);
- del
livello di istruzione (il laureato vive di più);
- delle
condizioni di salute (le patologie influenzano la durata della vita);
- di reddito e socio-economiche ecc.
ecc. (il povero, il disadattato vivono di meno)
In parole
semplici, cari elettori, nel metodo ufficiale statistico-attuariale del
calcolo contributivo, collegato funzionalmente alla prospettiva di vita differenziata tra
cittadini, l'importo delle pensioni dovrebbe essere determinato non
solo in base all'età di pensionamento e al montante
contributivo, ma anche rispetto al diverso decorso del
ciclo di vita media (naturalmente, anche per i lavoratori in
pensione alla stessa età), secondo l’assioma di probabilità, in base al quale,
a parità di requisiti (età e contributi), chi campa di
più riceve una pensione più bassa; viceversa,
chi vive di meno, una pensione più
alta.
Invece la Riforma
"Dini", come spiegheremo più dettagliatamente in seguito,
ha disatteso legislativamente questo strumento scientifico di calcolo
statistico della speranza di vita, impostando, invece, la tabella
ministeriale con il blocco di un solo dato numerico di anni di
vita attesa (il “divisore”) in corrispondenza di ciascuna
età in cui si chiede di andare in pensione.
Per rendere in modo fruibile
a tutti, specialmente a quelli non addetti ai lavori, il meccanismo articolato
della suddetta regola, che sta alla base, ripetiamo, della Scienza
statistica - in contrapposizione a quella adottata dalla Riforma
"Dini" - rappresenteremo, nel corso di questo Capitolo, dedicato al
Sistema contributivo:
- Una
serie di esempi "di scuola", con riferimento a
due gruppi di lavoratori, aventi prospettive di vita diverse
- per differenti variabili socio-economiche/personali, previste dal
“sito Istat” - collocati a riposo alla stessa età e
con lo stesso montante contributivo di €. 100.000.
1°. Ogni
lavoratore-pensionando del primo gruppo, in condizioni
di vantaggio, per ipotesi statistica con dieci anni di
vita attesa, deve riscuotere una pensione annua di €
10.000, al fine di poter consumare l'intero importo contributivo
accumulato (€ 100.000 di montante, diviso per il "divisore" di 10
anni/ovvero moltiplicato per la percentuale del 10%).
2°. Ciascun
lavoratore-pensionando del secondo raggruppamento, invece,
con cinque anni di vita residua - più
svantaggiato a causa di peggiori condizioni in cui si trova - deve incassare
(anche se ha la stessa età di pensionamento e il medesimo montante rispetto al
soggetto del primo gruppo) un importo più alto, pari
a €. 20.000 annue, per poter esaurire, nel tempo più
breve di sopravvivenza, loro concesso statisticamente, tutto il montante
accumulato (€ 100.000 diviso per 5 anni/ovvero moltiplicato per il 20%).
III) IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA
PENSIONE SECONDO LA "VARIANTE DELLA MEDIA ARITMETICA" DELLA
RIFORMA “DINI”.
Invece, la Riforma "Dini" e le successive Disposizioni
di legge, compresa la Riforma Fornero, hanno scorrettamente e
illecitamente modificato questo canonico metodo statistico di tipo
probabilistico, sostituendolo con la seguente variante (che noi
abbiamo denominata del "pollo" di Trilussa) - che
stravolge la predetta regola attuariale, di cui si lamentava
anche il poeta già nell'800 - in base alla
quale:
- A tutti
coloro che alla medesima età richiedono la pensione,
viene attribuita, come si può riscontrare nella Tabella, un'unica
cifra di anni di vita restante, frutto di un
semplice ricalcolo ricavato dalla media aritmetica tra
alcuni e limitati dati e parametri demografici,
comunicati dall'Istat al Ministero del Lavoro, in occasione della
revisione del calcolo dei coefficienti (come quelli trasmessi, per il
biennio 2020/ 2021, con le Tabelle A-D, vedi Nota Tecnica allegata
al predetto Decreto Ministeriale).
- Ciò
viene applicato dalla Riforma "Dini", senza considerare, ripetiamo, tutte
le altre varie e diverse aspettative di vita (tratte
proprio dal sito ufficiale dell’Istat), conseguenti alle diverse predette
situazioni di tipo lavorativo, personale, di genere, geografico, di
istruzione, di reddito, di salute, ecc., in cui si possa trovare il
lavoratore-pensionando, determinanti al fine di poter ponderare
l'ammontare specifico della loro pensione.
Insomma il criterio instaurato dalla
Riforma "Dini" è imperniato su una semplice operazione di
media matematica tra alcune, limitate variabili, penalizzando
pesantemente quelli che statisticamente vivono di meno, ai quali la
media “Dini”, alzando gli anni di vita attesa, abbassa
l' importo pensionistico:
· Come
è mai possibile che nessuno abbia protestato, denunciando questo grave
vulnus non solo alle pensioni dei lavoratori più fragili, ridotte
nell'importo, ma anche all' Ordinamento Giuridico nazionale? Noi lo
stiamo rilevando da anni.
IV) L’INDICATORE UNICO PREVISTO DALLA
"VARIANTE DINI"
Pertanto, i su
riportati due indicatori statistici, di cui all'esempio, pari
a 10 e 5 anni di aspettativa di vita, (previsti dall'Istat, ripetiamo, in
base a precisi calcoli statistici di campionamento), vengono sostituiti dalla
Riforma Dini, in:
- Un
unico indicatore medio, pari a 7,5 - ottenuto in
media, dividendo per 2, gli anni di vita, statisticamente attesi
(pari a 10 + 5) - che rappresenta il
nuovo parametro degli anni (virtuali) residui, su cui deve
essere calcolata la pensione, ed è valido per tutti i lavoratori, in
pensione alla stessa età.
Da questo intervento
normativo sui generis, ne consegue che, nell’esempio, i pensionati di
entrambi i gruppi percepiranno lo stesso importo annuo di
pensione (€. 13,333,3) provocando una insopportabile e
illecita discriminazione tra i pensionati, per cui,
continuando nel suddetto esempio:
1. I lavoratori-pensionandi
del primo gruppo, più favoriti per cui, come abbiamo scritto,
campano statisticamente di più (10 anni) -
rispetto alla variante del "pollo a testa", che
li fa fittiziamente vivere di meno (7,5 anni) -
saranno avvantaggiati perché riceveranno una maggiore
pensione annua di € 13.333,3 (€ 100.000:7,5
oppure x 13,333%), anziché € 10.000.
2. Gli altri del secondo gruppo, più sfortunati - per cui statisticamente campano di meno (5 anni) - rispetto alla maggiore cifra di vita, loro attribuita in media (7,5 anni) - saranno svantaggiati perché percepiranno un importo di pensione (€ 13.333,3), inferiore a quello dovuto (€ 20.000).
V) I PENSIONATI SFORTUNATI E LA "STATISTICA DEL POLLO" DI TRILUSSA
Capite cari lettori, il
metodo contributivo del calcolo della pensione (così come è stato
modificato irregolarmente dalla Riforma Dini), penalizza i
pensionati più fragili, come quelli del secondo gruppo dell’esempio, che
statisticamente vivono di meno, perché allunga loro artificialmente la
durata della vita restante (da 5 a 7,5 anni residui), per cui risulteranno tre
volte sfortunati:
- Hanno
condizioni di vita più sfavorevoli, rispetto agli altri del
primo gruppo.
- Queste
ultime accorciano loro la durata della vita;
- Lo
Stato (anzi, la Riforma "Dini") “impone” una
pensione inferiore a quella dovuta (€ 13,333,
anziché € 20.000, come nell’esempio), in base ad un mero
calcolo di media matematica che simula quello statistico-
attuariale.
Esattamente come
nella poesia della "statistica" del poeta
Trilussa, in cui i lavoratori-pensionandi più "deboli" sono
costretti (".... risurta che te tocca un pollo all'anno, anche
se nun entra nelle spese tue") a finanziare una parte
della pensione ai più "forti"("t'entra ne la
statistica lo stesso, perché c'è un antro che ne magna due")!
CAP. 7°
RAPPORTO TRA LA PENSIONE COMPLESSIVAMENTE RISCOSSA E TUTTO IL MONTANTE
VERSATO
I) RAPPORTO SPEREQUATO AI DANNI DEI
PENSIONATI PIU’ DEBOLI
Non solo, ma da questa
gravissima irregolarità/illeceità operata dalla Riforma Dini, scaturisce anche
l'esito di un evidente squilibrio della "catena" tra tutta la somma di pensione ricevuta nell'arco del periodo di pensionamento e quella dell’intero montante contributivo versato, naturalmente
sempre a scapito “dell'anello” più debole.
Infatti ci risuona
ancora nelle orecchie, la voce quasi unanime della stampa, dei mass media, dei politici e anche degli addetti ai lavori, che: "il
contributivo è un calcolo equo
perché restituisce complessivamente in
pensione, esattamente ciò che si è accumulato in versamenti
contributivi":
- Non è
vero, è una fandonia, è falso, è un’autentica fake
news, così come è stato attuato dalla Riforma “Dini” e dalla Legislazione
successiva!
Altro che "calcolo
equo", il contributivo è un sistema ingiusto,
discriminante e penalizzante, così come è applicato dall' Inps alle
pensioni obbligatorie IVS, come chiaramente dimostreremo proseguendo nel
riportato esempio, in cui:
1. Nel primo gruppo, più
fortunato, ogni pensionato – per tutta la durata di vita
residua, prevista statisticamente in 10 anni (non 7,5 anni previsti dalla media "Dini")– potrà
riscuotere, alla fine:
- €
133.333 di
pensione (€ 13.333,3 x 10 anni), per
cui la somma globalmente riscossa, risulterà superiore al
totale del montante versato di €. 100.000!
2. Nel secondo gruppo,
invece, ciascun pensionato - per il tempo generale stabilito dal campionamento
statistico, pari a 5 anni di vita rimanente (non 7,5 anni assegnati virtualmente) – incamererà complessivamente:
- €
66.667 di pensione (€
13.333,3 x 5anni), per cui l’importo complessivamente
incassato, sarà addirittura minore rispetto a quello
versato per contributi previdenziali, durante la vita
lavorativa (€ 100.000). In questo caso non riuscirà nemmeno
ad esaurire l'intero montante contributivo accumulato! Incredibile,
ma vero!
II) RAPPORTO
BILANCIATO SOLO PER LO STATO
Come si riscontra chiaramente
dal suddetto esempio, il principio di equilibrata corrispettività fra
contributi e pensione, tanto conclamato dai molti sapientoni, riguarda solo
le casse dello Stato che, grazie alla compensazione di tipo
aritmetico, alla fine, per ogni due pensionati (appartenenti rispettivamente ai
due gruppi, nell'esempio), "spenderà" complessivamente in pensione
€.200.000 (€ 133.333 + € 66.667), esattamente ciò
che "riceve" in contributi versati, pari a € 200.000 (€
100.0000 + € 100.0000).
III) DISPERAZIONE
E SCONFORTO DEI PENSIONATI SVANTAGGIATI
Mentre, a quasi nessuno
interessa che all'interno di questo formale e apparentemente equilibrato
rapporto, si verificano, invece:
- Discriminazioni
e disparità di trattamento: Lavoratori agevolati che incassano di più di
quanto hanno versato in contributi, al contrario di altri
che non riescono nemmeno a finire tutto il montante accumulato.
- Disperazione e sconforto nei confronti
di milioni pensionati, specialmente quelli in precarie condizioni
personali e socio- economiche, considerati dallo Stato figli di un
dio minore, che subiscono in silenzio l'ennesimo
affronto di vedersi diminuire ulteriormente la già misera
pensione cui avrebbero diritto, a vantaggio di altri. Ma noi non
saremo in silenzio. Mai
CAP. 8°
I "DANNI COLLATERALI" DEL SISTEMA
CONTRIBUTIVO: LE ULTIME TRE "PERLE" DELLA RIFORMA
"DINI"
Il metodo di calcolo “inventato” dalla Riforma Dini sta
provocando, come abbiamo visto più sopra, non solo evidenti e ingiustificati
discriminazioni e lacerazioni tra i lavoratori/pensionati, ma anche ulteriori
danni economici “collaterali” che si produrranno nel tempo, alle future
pensioni contributive, quali:
I) L’ INTEGRAZIONE AL MINIMO NON APPLICATA
ALLE PENSIONI CONTRIBUTIVE
"Alle pensioni liquidate
esclusivamente con il sistema contributivo, non si applicano le
disposizioni sull'integrazione al minimo" (circa €. 515
mensili). Così dispone testualmente la Riforma "Dini", creando,
tra l'altro, una grave lacerazione:
- Tra i lavoratori che
usufruiscono del calcolo retributivo, ammessi al trattamento
minimo (come abbiamo visto più sopra);
- e quelli che iniziano
l'attività lavorativa dal 1° gennaio 1996
Pensate cari lettori, il "danno collaterale" che provocherà
questa “perla” regalata dalla Riforma "Dini":
- L'importo
delle pensioni contributive - senza la salvaguardia della solidarietà
sociale sottesa al trattamento minimo - potrebbe anche toccare livelli
minimali, quasi irrisori, come, per esempio, € 100
mensili (cento euro), da corrispondere proprio ai pensionati più
fragili (lavoratori invalidi al lavoro, con il minimo di 5 anni di
lavoro), a quelli che muoiono prematuramente (pensioni ai Superstiti con
soli 15 anni di contributi), ovvero, a coloro che prestano attività
lavorativa, retribuita in misura esigua (lavoratori domestici, ecc.).
Una scelta legislativa
vergognosa che da 25 anni sta “toccando” la vita, specialmente, di
quei lavoratori e delle loro famiglie che avrebbero più bisogno di un sostegno
civile.
Un’autentica infamia per
un Paese civile, di cui quasi nessuno si è ribellato a questa indecente
operazione di cassa operata da "Dini" che, con questa ulteriore
disposizione, ha riconfermato, ove ce ne fosse bisogno, che la sua Riforma ha
avuto, come prevalente obiettivo, quello di produrre un
Sistema tendente a ridurre quanto più possibile gli importi delle
pensioni, al fine di abbassare il totale della spesa
pensionistica!
II) RIVALUTAZIONE/SVALUTAZIONE DEL
MONTANTE CONTRIBUTIVO IN BASE AL PIL
Tale modalità di
rivalutazione/svalutazione riguarda la generalità dei lavoratori dipendenti, la
cui quota di pensione viene calcolata in tutto o in parte con il calcolo
contributivo. Cioè:
- Non solo, i lavoratori
che hanno iniziato l’attività lavorativa dal 1° gennaio 1996.
- Ma anche tutti gli altri
che hanno versato meno (calcolo misto) o più (calcolo
retributivo) di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (per
quest'ultimi, la quota contributiva si applica a partire dal 1° gennaio
2012, “grazie” alla Riforma “Fornero”).
La Riforma “Dini”, sul tema in
esame, ha disposto che:
- Il
montante contributivo accumulato dal singolo lavoratore, "si
rivaluti al 31 dicembre di ciascun anno (con esclusione della
contribuzione dello stesso anno), in base alla variazione media
quinquennale del Prodotto interno lordo", al
fine di poter procedere al recupero del potere di acquisto dei
contributi più remoti, tratti dalle retribuzioni dei lavoratori, nel corso
della vita lavorativa.
Una semplice riflessione
preliminare, al riguardo:
· Come mai la riforma Dini
è ricorso al PIL, per rivalutare i contributi, anziché al tasso
d'inflazione annuale (come avviene in tutti i Paesi d'Europa e anche per le
pensioni retributive) che rappresenta l'unica e riconosciuta
formula in grado di misurare l’eventuale perdita
della potenzialità di acquisto della contribuzione?
Cari lettori, è come se qualcuno volesse misurare il peso corporeo con il metro sartoriale, anziché con la
bilancia! Un'altra assurdità!
Qual è il "danno
collaterale"? Negli ultimi anni, l’indice del PIL (che,
ripetiamo, rappresenta la ricchezza prodotta nel Paese e non la misura della
perdita, nel tempo, del valore dei contributi), è notevolmente sceso per
effetto della crisi economica iniziata a partire dal 2008, per cui la sua
inesorabile caduta comporta conseguentemente una minore/nulla rivalutazione dei
montanti accumulati nel corso degli anni e, quindi, della futura pensione:
· Gli esperti hanno accertato,
con specifiche e condivise simulazioni, che per un neo assunto, un solo punto
di Pil medio in meno, durante la sua vita lavorativa, determina, "a
cascata", una perdita della pensione, rispetto alla retribuzione, di
circa 20 punti percentuali!
Addirittura, l'attuale,
terribile fase pandemica, in cui l’indice ha assunto valori nettamente negativi (-
9% /-12%,), comporterà, inevitabilmente per tutti i lavoratori, che le
somme finora accantonate, non saranno né rivalutate né, per
il momento, svalutate (in tale ultima eventualità, l'indice sarà uguale a 1, per cui moltiplicandolo per l'importo contributivo, quest'ultimo non subirà variazioni negative):
· Abbiamo sottolineato: "...per il momento...", perché su questa opportuna decisione di non svalutazione della contribuzione, conseguente al Pil negativo, il legislatore (D.L. 65/2015, art.5) si è subito "pentito" stabilendone, nientedimeno, “il recupero, da effettuare sulle rivalutazioni successive”!
Capite, cari lettori,
l’assurdità di una “vendetta” contro i lavoratori da
parte di una legge “matrigna” che si intestardisce a riscuotere successivamente l'importo
della mancata svalutazione dei contributi, dovuta a una emergenza
planetaria conseguente alla pandemia virale, di cui non sono responsabili
certamente i lavoratori:
- Per
esempio, una somma annuale di €.10.000 per contributi versati, non solo
non si rivaluta, ma diminuisce anche nell'importo pagato
dai lavoratori, a favore dello Stato!
Poiché "al
peggio non c'é mai fine", un ulteriore "danno
collaterale" sulle pensioni, in tutto o in parte contributive,
sarà il seguente:
·
Considerata che l’attuale situazione fortemente negativa del PIL è
destinata a protrarsi nel tempo, la spietata previsione legislativa circa il
successivo recupero forzato, annullerà i vantaggi di un
prevedibile e auspicato rimbalzo positivo del PIL, dopo la crisi, con la
conseguenza che il montante contributivo non verrà
rivalutato nemmeno negli anni in cui il PIL fosse positivo, contraendo
ancora di più i livelli già miseri delle pensioni contributive. Un vero e
proprio disastro economico per i futuri pensionati e nessuno si ribella!
III) L’INCREMENTO PROGRESSIVO
DELLA SPERANZA DI VITA.
Un altro "danno
collaterale" è rappresentato dal micidiale e
automatico ingranaggio di profilo statistico, per cui: "Più si
vive, meno si guadagna".
Infatti il combinato
disposto, collegato all’aumento progressivo, nel tempo, della speranza di vita,
produce, da un lato, il contestuale irrigidimento dei
requisiti anagrafici e contributivi e dall’altro, la
diminuzione dell’importo delle pensioni:
· L’età
pensionabile, nella stessa misura: (da 66 a 67 anni, dal 2019 fino
al 2022).
· I requisiti
contributivi per la pensione anticipata, per sette mesi (da 42/41anni e 3 mesi
a 42/41 anni e 10 mesi di contributi, rispettivamente, per
uomini e donne, dal 2016 fino al 2026).
Anche per questa
previsione legislativa - che ha stabilito che fosse uguale per
tutti anche il predetto incremento della vita
attesa - bisogna effettuare l'analogo ragionamento, che
abbiamo fatto in precedenza, sulla necessità di una diversa durata complessiva dell’aspettativa
di vita, dovuta alle specifiche situazioni di vantaggio/svantaggio in cui si
dovessero trovare i lavoratori-pensionandi, rispetto ad altri:
- Cari
lettori, si può mai credere che un lavoratore più svantaggiato (per
esempio, lavoratore addetto a lavori pesanti/rischiosi, ovvero, di modesta
condizione economica e sociale, senza istruzione, che vive in zona
degradata, di genere maschile, ecc.) debba subire l’incremento della
speranza di vita nella stessa misura di un altro
lavoratore che si trova in una posizione più favorevole?
- La Scienza statistica e anche l’Istat (vedi sito ufficiale) lo escludono categoricamente, a differenza del Legislatore “Dini”, contro ogni evidenza di ragionevolezza e di natura scientifica!
- Il “Divisore” viene aumentato negli anni
rimanenti, dopo il pensionamento.
- Il
“Valore”,
conseguentemente, è diminuito nella percentuale.
· Con decorrenza dal 2009, la pensione annuale ammontava a €
17.733 (€ 300.000 diviso per 16,917, il "divisore" all'età
di 64 anni, ovvero moltiplicato per 5,911%, "valore" in percentuale).
· Con decorrenza dal
2021 al 2022, la stessa pensione annuale, invece, si riduce a €
15.180 (€ 300.000 diviso 19,763, il "divisore" - aumentato di
2,846 anni residui - all'età di 64 anni, ovvero moltiplicato per il
"valore" con la percentuale del 5,060%. (diminuita dello
0,851%).
In conclusione,
il pensionato che riscuoterà la pensione nel 2021, rispetto al
suo omologo che l'ha ricevuta nel 2009, a causa dell'aumento progressivo della
speranza di vita, subirà una riduzione economica di
ben € 2.553, pari a meno il 14,40%: Altro
futuro "danno collaterale" per i nostri figli e nipoti!
Cari lettori, lasciatemi
formulare una amarissima riflessione: Questa continua e progressiva erosione
della nostra pensione, inarrestabile fino all’età di pensionamento dei nostri
giovani, ci fa quasi rimpiangere di vivere più a lungo!
CAP. 9°
L’ INADEGUATEZZA DELLA PENSIONE CONTRIBUTIVA
Il principio di profilo
costituzionale circa l’adeguatezza delle retribuzioni (art.
36) e quindi anche delle pensioni contributive, sarà il tema
prevalente di discussione negli anni a venire, perché tra stipendi bassi,
lavori discontinui, il prolungamento delle possibili cadute del PIL, a cui è
agganciata la rivalutazione dei contributi versati, insieme ai descritti
"danni collaterali":
- Gli
importi delle pensioni di tutti i lavoratori e, specialmente, dei giovani
soggetti al sistema di calcolo interamente contributivo, rischiano di
essere troppo scarsi e anche erosi progressivamente nel tempo,
peraltro senza l'ombrello del minimo vitale, generando una esplosiva bomba
di natura sociale, di non facile soluzione.
Noi, con questo post, abbiamo voluto dare un modesto contributo al dibattito, chiarendo alcuni aspetti della persecutoria normativa previdenziale, non cogniti a tutti.
I) IL CONTRIBUTIVO É INIQUO E INADATTO A CALCOLARE LE PENSIONI
Pertanto, possiamo,
senza alcun dubbio, affermare che il metodo contributivo risulti:
- Da un lato, iniquo in
quanto per la sua natura pubblica/obbligatoria - non potendo essere
disciplinato rigidamente dalla disciplina attuariale - con
la modifica legislativa su riportata, alimenta distinzioni tra
pensionati (come spiegato in particolare dalle esemplificazioni riportate più
sopra).
- Dall'altro, inadatto alle
pensioni obbligatorie IVS, perché l'importo della pensione, in attuazione della
sopradetta regola attuariale, deve essere tarato non solo sul montante
contributivo e sull'età di pensionamento, ma anche sulla differente
durata statistica della vita rimanente, in rapporto ad alcune
variabili personali e socio economiche, accertate dall'Istat:
- Il
modello più significativo di tale iniquità/inadeguatezza, è quella di due
lavoratori assunti nella stessa data e che vanno in pensione con la stessa
retribuzione e i medesimi requisiti: Ebbene, la lavoratrice (che
statisticamente vive di più) dovrebbe riscuotere comunque una
pensione inferiore a quella del suo collega maschio!
Risulta evidente che il
quadro sopra esposto si dimostra difficilmente modificabile sul
piano procedurale e sociale, perché imporrebbe all'INPS:
1. Da un lato, la
singola verifica - per tutti coloro che richiedono la pensione alla stessa età
- della valutazione della classe di appartenenza in cui devono essere inseriti
(come, d'altronde, avviene nelle assicurazioni private, però con numeri diversi
e molto più limitati);
2. dall'altro, la
proliferazione di pensioni d'annata di differente importo, anche
a parità di condizioni anagrafiche e di anzianità contributiva.
II) LA PROPOSTA DI
ELIMINARE IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DALLE RIFORME "DINI"
E “FORNERO”.
Per tale ragione,
ribadiamo con forza che vada proposta la
cancellazione della Riforma "Dini" e di tutte le
successive Disposizioni di modificazione /integrazioni legislative, nonché della
Riforma "Fornero", nella parte in cui hanno
legiferato in materia di calcolo contributivo, in quanto esso,
non solo é inadatto a calcolare le pensioni IVS, ma è
anche illecito e irregolare, perché colpisce, senza
alcuna motivazione giuridica e morale, "il più debole a vantaggio del
più forte", come abbiamo ripetuto in tutte le sedi pubbliche e, in
ultimo, recentemente alla Sala dei Convegni presso il Senato della Repubblica
Tali considerazioni inducono, peraltro, a ritenere non esaustivi, insufficienti e inappropriati i "tavoli" ministeriali collegati al solo parametro della "gravosità dei lavori", trascurando, peraltro, tutti gli altri che pure influiscono sulla vita attesa.
III) IL RETRIBUTIVO: E' UNICO SISTEMA RICONOSCIUTO DALLA CORTE COSTITUZIONALE
Pertanto gli esiti
socialmente inaccettabili, conseguenti alla corretta applicazione
della regola attuariale alle pensioni obbligatorie Inps e il notevole e
ricorrente avanzo positivo del Bilancio Inps, nel cui ambito risulta presente
ancora un rilevante numero di pensioni IVS
retributive, compresa la quota "100", fa sorgere una domanda
spontanea (come diceva un noto conduttore):
- Non
sarebbe il caso di passare dal sistema contributivo a quello
retributivo, correlato al salario percepito durante la vita
lavorativa, in linea, peraltro, con i giudicati
della Corte Costituzionale, tutti indirizzati a
considerare le pensioni, quali "retribuzioni
differite, collegate alla qualità e quantità di lavoro svolto in
passato, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento
ai fini previdenziali"(C.C. n. 173/1986)?
Peraltro, negli anni
successivi, seguirono, com'è noto, una serie di sentenze, emesse dal Giudice
delle leggi, che ribadirono, tutte, lo stesso principio di diritto, tanto da
essere definitamente considerato "ius receptum" nell'
Ordinamento nazionale: "Il trattamento
previdenziale, avente natura di retribuzione, anche se differita,
deve garantire una vita libera e dignitosa non solo al lavoratore, ma anche
al pensionato, in base al combinato disposto degli art. 36 e 38 della
Costituzione"
Una sola modifica mi sentirei di proporre al Sistema retributivo, anche per evitare raffronti del tutto strumentali: La media retributiva pensionabile, dovrebbe essere calcolata in base a tutte le retribuzioni percepite durante la vita lavorativa, così come avviene nel contributivo con il conteggio di tutto il montante contributivo.
Per quanto sopra, in conclusione di questa lunga e approfondita disamina sul calcolo contributivo corretto dalla Riforma "Dini", Consigliere relatore della Corte dei Conti mi permetta una domanda:
- Le sembra conferente, giusto, equo, adeguato, proporzionato ai sacrifici finanziari dei lavoratori, un tale sistema previdenziale di calcolo della pensione, ivi compresi i successivi “danni collaterali”, previsti dalla normativa, che non solo concorrono ad abbassare le pensioni, ma operano una serie di discriminazioni, contravvenendo ad ogni regola di buon senso, di adeguatezza remunerativa e di natura scientifica-statistica, ancora più odiosa, perché a discapito specialmente di lavoratori più svantaggiati e della loro famiglia, proprio nel periodo del meritato collocamento a riposo?
CAP. 10°
LA MANCATA TRASPARENZA DEL
BILANCIO INPS
I) ANALISI CRITICA
DELLA CORTE DEI CONTI
Il Bilancio Inps è una “ambigua miscela” in cui sono inserite insieme poste in uscita di profilo previdenziale differente, che sta provocando una riprovevole e confusa “macelleria previdenziale” ai danni dei lavoratori e delle loro famiglie, cumulando il totale delle pensioni IVS con altre prestazioni di natura non pensionistica.
I Giornali e i mass media si
sono lanciati a testa bassa sulla notizia divulgata dalla Corte dei Conti circa
la non sostenibilità del sistema retributivo (che noi abbiamo dimostrato non
rispondente alla realtà, dovuta a Bilanci Inps poco chiari), ma si sono dimenticati di
riportare l'importantissima notizia che:
- La Corte
dei Conti ha richiamato la Politica sull'opportunità,
addirittura, di interventi normativi, finalizzati a
rendere trasparente la struttura del Bilancio dell’Inps, per
consentire di distinguere agevolmente le prestazioni
previdenziali da quelle assistenziali
É un richiamo eloquente,
quello della Corte, che noi stiamo denunciando da tanti anni, e che rendiamo
pubblico, dagli spalti di questo Blog, riportandolo integralmente in
questo articolo, al fine di evitare ogni possibile contestazione:
Infatti il Relatore scrive testualmente alle
pagine 271/272, ultimo capoverso:
- “…… La diversità di finalità, di assetto e
condizione economico-patrimoniale e di struttura del Bilancio, rendono meno
agevole, nella classificazione delle prestazioni, la
stessa distinzione tra gli interventi di natura assistenziale e
quelli di carattere previdenziale"
II) "L'AZIONE
NORMATIVA" PROPOSTA DALLA CORTE DEI CONTI
Il Relatore, per sottolineare la
necessità che il Bilancio Inps risulti trasparente, prosegue richiedendo, testualmente, che:
- “Anche da questo punto di vista appare
opportuna una azione normativa che riguardi sia la
struttura del bilancio, quanto l’organizzazione dei Fondi".
Questa contestazione
della Corte dei Conti è veramente inaspettata e straordinaria,
senza che nessun Organo di informazione, ripetiamo, ne abbia parlato, tantomeno
i politici.
Finalmente, cari lettori, la
nostra soddisfazione è che anche il massimo Organo Costituzione del Controllo
Statale si sia accorto di ciò che andiamo dicendo da anni:
- “L’ azione normativa”, sollecitata dalla Corte dei
Conti e rivolta alla Politica, dovrebbe tendere a prevedere una disposizione
regolamentare /legislativa ad hoc, finalizzata ad eliminare alla
radice ogni possibile contaminazione tra gli importi di natura
diversa, posti in uscita nel Bilancio.
Pertanto, a nostro
modesto avviso, il Bilancio INPS, in particolare, potrebbe essere
strutturato in due sezioni, separate per competenza di
finanziamento:
- L’una
contenente i dati delle prestazioni assistenziali, a carico esclusivo
della fiscalità generale pubblica;
- l’altra,
delle pensioni IVS, a carico della contribuzione obbligatoria privata, al
netto dell’IRPEF, il cui importo, peraltro, dovrebbe essere riportato in
una separata partita in uscita.
III) NECESSITA' DI
TRASPARENZA DEL BILANCIO SOLLECITATA ANCHE DAL PRESIDENTE
INPS.
Anche il Presidente
dell'Inps, nella suddetta Relazione annuale del 2020, dal titolo "
Il Welfare degli Italiani", ha ribadito questa esigenza di chiarezza,
scrivendo testualmente a pag.20, che: ".... sembra
necessario separare, almeno da un punto di vista contabile e
di trasparenza, ciò che è spesa assistenziale, finanziata
attraverso la fiscalità generale, e ciò che è previdenza"
Mi permetta, Presidente, lei
ha usato i termini, quali la necessità di " separare da un
punto di vista contabile" e "di trasparenza", riferiti al
Bilancio, cioè al più importante Documento Contabile-Economico e Finanziario
della vita istituzionale dell'Inps di cui Lei è il Presidente:
- Non
sarebbe suo obbligo deontologico predisporre/richiedere pubblicamente e
formalmente la suddetta modifica strutturale, perché il "suo" Bilancio
diventi finalmente "trasparente" e
"contabilmente" corretto, vista anche l'autorevole
presa di posizione della Corte dei Conti?
Ma a questo punto ci
domandiamo: Perché tutta questa prepotenza e ignoranza non siano costantemente
contrastate, in particolare, dall’ INPS e dal suo Presidente, in modo da
ristabilire semplicemente la verità dei numeri del
"suo" Bilancio e nel contempo veicolare alla pubblica
opinione la corretta informazione della strapiena copertura contributiva della
spesa pensionistica, escluse ovviamente le prestazioni assistenziali?
CAP. 11°
UNIONE
EUROPEA: L'ITALIA QUANTO SPENDE PER LE PENSIONI IVS
Purtroppo, secondo le stime dell'Ufficio
Statistico dell'Unione Europea (EUROSTAT) -
che vanno ad influire anche su quelle della Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) e del
Fondo Monetario Internazionale (FMI) - è previsto, in
modo infondato, che l'Italia spenda, in spesa pensionistica,
mediamente il 16,1% del Pil, cioè oltre €. 284,2 miliardi,
mentre la media UE è del 12,6% pari a € 222,4 miliardi. Incredibile, ma queste
sono le cifre che risultano alla Contabilità Europea!
I) SESPROS: IL SISTEMA
EUROPEO DELLE STATISTICHE INTEGRATE SULLA PROTEZIONE SOCIALE
Dall'analisi dell'importante
documento, tratto dal sito dell'Istat, dal titolo "
la Nota metodologica" - cioè,
il testo ufficiale in cui vengono spiegate le modalità di
realizzazione della spesa a livello europeo di protezione sociale - risulta
(a pag.1) che SESPROS (il Sistema europeo delle
statistiche integrate sulla protezione sociale, approvato con Regolamento
comunitario n.458/2007) sia un metodo adottato dal nostro Istituto
statistico e anche da quello europeo, per “assicurare la
comparabilità dei conti sociali tra le statistiche compilate dai vari Paesi
europei”.
La suddetta "Nota metodologica" prosegue affermando testualmente che: "SESPROS è il
risultato di una standardizzazione (forzata?!) a
livello europeo... della protezione sociale”, relativa a spese sociali dei singoli Stati, molto diverse tra
loro per finalità e modalità di finanziamento, come se fossero
assimilabili le une dalle altre, facendoci fortemente dubitare sulla
corretta omogeneità della classificazione collegiale a livello
pensionistico tra i Paesi Europei.
Infatti, l’Istat, nella predetta "Nota Metodologica”, a pag.2, testualmente, ammette che quando “l'attribuzione ai settori d’intervento, non è prevista dal Sespros, essa viene effettuata dal nostro Istituto, secondo un criterio generale che fa ricadere nella previdenza”:
- Tutti gli interventi di protezione sociale che presuppongono la costituzione di una posizione contributiva precedente;
- Tra questi: "sono inclusi gli interventi finalizzati al mantenimento a breve termine del salario, in caso di evento legato allo stato di salute (indennità
di malattia e indennità temporanea per infortunio o malattia
professionale)”.
Capite, cari elettori, lo
stesso Istat ammette, testualmente, che nella spesa pensionistica, a livello
europeo, sono presenti elementi assistenziali / previdenziali (malattia,
infortunio, ecc.), purché abbiano avuta già una copertura contributiva, che nulla hanno a che fare con quelli pensionistici
veri e propri:
- Così facendo, si compie non solo un atto di evidente disparità e incomparabilità statistica a livello pensionistico tra i Paesi UE aderenti (non si sa quanto possano "pesare" questi interventi non pensionistici sul totale della spesa per pensioni IVS), ma anche di profilo anticostituzionale, in Italia, per il gravissimo vulnus che provoca alla nostra Costituzione, dove è previsto, ripetiamo, la netta separazione tra le due spese di protezione sociale.
II) LA SPESA PENSIONISTICA DEI PAESI
EUROPEI: IL DIVERSO "PESO" DELLE TASSE
Senza considerare che, per
un altro valido motivo, queste graduatorie europee non sono rispondenti alle
realtà previdenziali nazionali, e quindi tra di loro non sono
comparabili, perché non tengono conto che nella spesa pensionistica sono
incorporate anche le imposte, il cui importo è diversificato tra i
Paesi dell'U.E. (per esempio, su una pensione di €. 20.000, in Italia si
paga l'imposta, più alta, del 20,20%, in Spagna del 9,09%, nel
Regno Unito del 7,57%, in Francia del 5,05%, in
Germania dello 0,20%).
III) UN UNICO MODELLO
EUROPEO DI STATISTICA SULLA SPESA PENSIONISTICA
Incredibile
constatare come mai nessun politico, giornalista, addetto ai lavori, ne parli
e/o rilevi l'urgenza di una riorganizzazione in materia, di cui sia interessata
anche l'Europa, al fine di mettere un po' d'ordine nei Manuali
Regolamentari, con oltre 20 schemi (!) di protezione
sociale diversi fra loro, e, conseguentemente, di prevedere un modello
unico di statistica della sola spesa pensionistica, al netto delle tasse - cioè, quella autosostenuta dagli stessi lavoratori - che
sia compatibile rispetto agli Ordinamenti Nazionali di tutti i 27
Paesi e, in particolare per l'Italia, anche alla Carta Costituzionale.
CAP. 12°
L'ITALIA QUANTO SPENDE
REALMENTE PER LE PENSIONI IVS
I) LA TRAMA DEL FILM "THE TRUMAN
SHOW"
Temiamo che il fiorente
e ricorrente dibattito instauratosi sulle pensioni, si stia trasformando in
una replica del film “The Truman show”. Infatti
quando leggiamo gli innumerevoli articoli di quasi tutta la Stampa o assistiamo
a dibattiti televisivi con vari interventi nei talk show o sentiamo le
dichiarazioni dei cc.dd. esperti e dei politici italiani, e anche degli
esponenti dell'Unione Europea, essi sono quasi tutti non rispondenti alla
realtà sulla vera entità del costo delle pensioni IVS, perché diretti
a:
- Includere
nell'ambito totale di queste ultime, anche altri provvedimenti di natura
assistenziale (come i 72,6 miliardi di cui al Cap. 2°), strepitando, poi, sull'esplosione
della spesa in uscita pari, per esempio, a 284,7 miliardi di
euro (€ 212,1 md, per pensioni IVS, + € 72,6 md, per pensioni assistenziali), con il PIL che schizza al 16,1%, mischiando (?) le pensioni assistite, con le
quelle IVS, in quanto ambedue le tipologie sono gestite ed erogate dall’Inps
e, quindi, inserite in uscita, tutte insieme, nel
Bilancio dell'Istituto;
- auspicare
unanimemente tagli e interventi riformatori peggiorativi, finalizzati
a diminuire gli importi delle pensioni future.
In queste occasioni,
cari lettori, abbiamo netta la sensazione di trovarci in un mondo
irreale, in cui i Media abbiano la presunzione di manipolare la realtà:
cioè ci pare di assistere di nuovo al film “The Truman
show”, in cui la realtà era invece una pure invenzione creata dal regista.
Com’è possibile
discettare ancora sulla non sostenibilità della spesa
pensionistica IVS, quando è stato autorevolmente e pubblicamente accertato,
lo ripetiamo per l'ennesima volta, che nel 2018 (con lo stesso trend,
anche negli altri anni) i costi delle pensioni IVS (€
212,1 miliardi, al lordo e € 160,6 miliardi, al netto) sono perfettamente in linea con quelli
degli altri Paesi europei: Anzi nel caso di quest'ultimo importo
netto, il Pil risulta al disotto di oltre due punti
percentuali, per cui dovremmo essere tra i primi in
Europa!
Ma di cosa stiamo
parlando; veramente stiamo assistendo ad una realtà previdenziale
virtuale, manipolata da un grande regista della vita sociale di questo
Paese!
II) LA PUBBLICA CONFERMA DEL
PRESIDENTE INPS SULLA REALE SPESA PENSIONISTICA
É pur vero che il
Presidente Inps ha confermato in due importanti pubbliche occasioni, la reale
consistenza della spesa pensionistica rispettivamente negli anni 2018 e
2019:
1. Nella
prima - in una pubblica audizione del 14 gennaio 2020 presso la
Commissione Parlamentare di Controllo sulle attività degli Enti gestori di
Forme obbligatorie, presso la Camera dei
Deputati - il prof. TRIDICO ha reso la seguente pubblica
dichiarazione, che noi vogliamo riportare, così come risulta dal testo del
relativo verbale: “…. nell’anno 2018, l’INPS ha registrato …. uscite
per prestazioni per 318 miliardi di euro, di cui 217 relativi a
prestazioni pensionistiche, per un valore vicino al 12 per cento del
prodotto interno lordo dell’Italia”.
2. Nella
seconda, il Presidente ha scritto, nella sua Relazione annuale, a
pag.20, testualmente, che: "Nel 2019 il
rapporto tra spesa puramente previdenziale e il PIL è pari al
12,7" (cioè siamo intorno a 227 miliardi, nel 2019).
Capite cari lettori, anche
il "massimo Responsabile" del Bilancio Inps ha da tempo pubblicamente
dichiarato che la spesa pensionistica, anche al lordo delle tasse, negli anni
2018 e 2019, è stata intorno al 12%, con decimali, del PIL, perfettamente
coerente con quella dei maggiori Paesi Europei.
Ciò conferma, anche
formalmente, ciò che stiamo denunciando da anni, in relazione alla
vera cifra complessiva della spesa delle pensioni IVS e alla
conseguente piena copertura del sistema pensionistico in Italia,
con le sole risorse dei lavoratori!
Purtuttavia, ciò non è
ancora sufficiente a spazzare via tutte le fandonie che
vengono dette e ripetute continuamente sulle pensioni e che purtroppo
fanno testo nell’opinione pubblica in Italia e in Europa.
III) L'INVITO PUBBLICO AL PRESIDENTE INPS
E LA FIABA "IL RE È NUDO".
Presidente TRIDICO, per non
passare alla storia come il novello sig. “Truman” - che solo alla fine si
accorge di trovarsi a vivere in un mondo parallelo a quello reale - faccia in
modo che ad ogni dibattito televisivo, ad ogni articolo di giornale, ad ogni
allarme /allarmismo diffuso dalla Commissione Europea, segua uno scarno,
formale e doveroso comunicato dell' Ufficio Stampa dell’INPS,
in cui venga solamente corretta la “vera” verità sulla entità
della spesa complessiva delle pensioni IVS, così come risulterà ogni anno dalla
pubblicazione del Bilancio INPS, le cui poste in uscita per pensioni
e assistenza, potranno essere chiaramente distinte e riconosciute da
tutti, anche in Europa, attraverso una sua annuale e pubblica Conferenza con la
Stampa nazionale e estera.
In questo modo,
Presidente, sia sicuro che renderà un servizio di verità altamente sociale a
favore dei milioni di pensionati e lavoratori e darà una speranza a tutti noi
di poter vivere finalmente in un mondo reale e non apparente e virtuale, in cui non
siano le fake news a regolare la nostra vita economica,
sociale e previdenziale, ma siano, invece in tanti, tantissimi, a gridare
con fermezza: "Il re è nudo", insieme al quel
bimbo (ancora dentro di noi) della fiaba di Andersen, che vedeva il
re sfilare senza vestiti, di fronte a cittadini-sudditi che a gran voce ne
lodavano l'eleganza.
Dr. Prof. a c. Lucio Casalino
ex Direttore di Sede Inps
Consigliere Nazionale Cisal
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